La campagna “recupero consensi” TIM è illegittima
La vicenda prende le mosse dalla campagna – c.d. “recupero consensi” - promossa dalla compagnia telefonica TIM e consistente nel ricontattare tutti quei clienti che precedentemente avevano già manifestato una volontà contraria ai contatti finalizzati alla promozione di offerte commerciali, al fine di ottenere un ripensamento.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha stabilito il principio secondo cui una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato, è essa stessa una “comunicazione commerciale”.
Non è legittima dunque la campagna telefonica di recupero del consenso; se gli utenti intendono esprimere il proprio ripensamento possono farlo liberamente e volontariamente, con la revoca del dissenso, ad esempio contattando il call center della compagnia telefonica per chiedere informazioni commerciali.
Cassazione ordinanza 26 febbraio - 26 aprile 2021, n. 11019
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Ordinanza 26 aprile 2021, n. 11019
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente -
Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -
Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - rel. Consigliere -
Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25705/2017 proposto da:
Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via Oslavia n. 30, presso lo studio dell'avvocato
Ricchiuto Paolo, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale rappresentante
pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura
Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 5022/2017 del TRIBUNALE di MILANO, pubblicata il
05/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2021 dal
cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.
Svolgimento del processo
Telecom Italia proponeva ricorso avverso il provvedimento del Garante per la
Protezione dei dati personali, in data 22 giugno 2016, che aveva vietato "l'ulteriore
trattamento per finalità di marketing dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della
campagna "recupero consenso", e tra questi quelli riferiti alle utenze XY e HZ, trattati in assenza di consenso legittimamente manifestato, ai sensi dell'art. 23 e art. 130,
comma 3, codice privacy".
Nel giudizio dinanzi al Tribunale di Milano si costituiva il Garante per la protezione
dei dati personali che segnalava che il procedimento di accertamento era scaturito
da segnalazioni degli utenti che, pur avendo espressamente negato il consenso ad
essere contattati telefonicamente per finalità promozionali, nel corso dell'anno 2015
avevano ricevuto telefonate di tal genere da fornitori di servizi che operavano
nell'interesse di Telecom, che aveva conservato nei propri data base i dati personali
di cinque milioni di ex clienti, una parte dei quali non aveva dato il consenso o lo
aveva espressamente negato.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 5 maggio 2017, rigettava il ricorso.
Il tribunale - evidenziato il ruolo centrale del consenso espresso dell'interessato
(D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 23, codice privacy) ai fini della legittimità del
trattamento dei dati personali, cui consegue che la negazione del consenso vincola
l'operatore, anche a prescindere dal fatto che l'interessato sia iscritto nel "registro
pubblico delle opposizioni" - riteneva non condivisibile la difesa di Telecom, che
sosteneva che, nella specie, il realizzato trattamento dei dati non aveva avuto uno
scopo promozionale (art. 7, comma 4, codice), ma era finalizzato solo a verificare la
permanenza del dissenso (da parte di coloro che in passato erano stati clienti) a
ricevere comunicazioni promozionali, al fine di acquisire l'eventuale consenso.
Ad avviso del tribunale, era invece evidente il contenuto promozionale della
campagna realizzata da Telecom, diretta ad ottenere dai clienti un ripensamento in
vista di una futura campagna promozionale e di vendita telefonica.
Ed infatti, Telecom aveva realizzato una campagna "di contatto", non a caso
denominata "recupero consenso", allo scopo di acquisire il consenso per essere
contattati per attività di marketing, come dimostrato dal fatto che aveva previsto
anche le modalità di contestuale promozione e immediata conclusione dei singoli
contratti (lo script fornito ai partners Telecom era così formulato: "Ci piacerebbe
acquisire il suo consenso per tenerla aggiornata sulle nostre offerte, oggi più
interessanti rispetto a quando lei era nostro cliente. Se è interessato la invitiamo a
lasciarci il suo consenso per essere ricontattato da Telecom Italia/TIM (...) la
informiamo che, se ci fornirà il consenso, Telecom Italia potrà trattare i suoi dati
(inclusi i dati di traffico e di navigazione Internet) individuali e dettagliati per proporle
nuove offerte, per vendita diretta, per ricerche di mercato, anche con modalità
automatizzate (...) Ci fornisce il suo consenso?").
All'operatore telefonico non era invece consentito di vanificare la volontà degli
interessati (che già avevano negato il consenso) mediante una campagna di
marketing in due tempi volta, prima, a riacquisire il consenso già negato e, dopo, a
realizzare l'attività promozionale vera e propria, trattandosi di un trattamento illecito
di dati, stante l'intrinseca inscindibilità tra la campagna di acquisizione del consenso
e la finalità di marketing. E doveva essere inibita l'utilizzazione dei consensi
comunque ottenuti, in quanto illecitamente acquisiti sulla base di un trattamento
illecito di dati personali.Avverso questa sentenza Telecom Italia propone ricorso per cassazione, cui resiste
il Garante per la protezione dei dati personali. Il ricorrente ha depositato una
memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 152 del codice
privacy e la L. 8 agosto 1990, n. 241, art. 3, per avere il tribunale impropriamente
espresso una motivazione postuma, ritenendosi legittimato a non svolgere il
doveroso sindacato sulla correttezza formale dell'impugnato provvedimento del
Garante, in ordine alla esistenza e adeguatezza della motivazione ivi contenuta,
contrariamente a quanto richiesto al giudice in sede di impugnazione dei
provvedimenti amministrativi.
Il motivo è inammissibile, poichè non coglie la ratio decidendi con la quale il
tribunale, esaminando funditus la doglianza dell'opponente, ha chiaramente
giudicato la motivazione contenuta nell'impugnato provvedimento come idonea e,
dunque, incensurabile, laddove il Garante aveva qualificato la campagna realizzata
da Telecom come avente una finalità promozionale, in quanto finalizzata a
recuperare presso i clienti il consenso già negato per nuove iniziative promozionali.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 23 e art. 130,
comma 3, del codice privacy, per avere qualificato come comunicazione
commerciale o promozionale un'attività consistita in telefonate volte al recupero dei
consensi, già negati circa due anni prima, che non rientrava nella definizione
normativa di "comunicazione commerciale" di cui all'art. 7, comma 4, del codice;
inoltre, l'inibitoria pronunciata, in relazione ai consensi comunque acquisiti
dall'operatore telefonico, sarebbe contraddittoria rispetto alla finalità di acquisire e
rispettare la volontà degli interessati.
Il motivo è infondato.
La tesi propugnata nel motivo, secondo cui una campagna telefonica per ottenere il
consenso per finalità commerciali, da parte di chi tale consenso abbia già negato,
non sarebbe riconducibile alla nozione di comunicazione commerciale, non è
condivisibile, contrastando con la ratio della normativa di settore.
Ed infatti, una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di
marketing, da chi l'abbia precedentemente negato, è essa stessa una
"comunicazione commerciale". La finalità alla quale è imprescindibilmente collegato
il consenso richiesto per il trattamento non può non concorrere a qualificare il
trattamento stesso, ragione per cui il trattamento dei dati dell'interessato per
chiedere il consenso per fini di marketing è esso stesso un trattamento per finalità di
marketing. Il tribunale, allora, non è incorso in violazione o falsa applicazione dei
parametri normativi indicati, quando ha condiviso la tesi del Garante di ritenere che il
dichiarato scopo di ottenere dalle persone contattate il consenso ad essere
contattate per finalità commerciali non valga ad inficiare la constatazione che si tratti
di telefonate pur sempre di tipo promozionale, in quanto finalizzate ad ottenere il
consenso per "fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il
compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale" (art. 7, comma 4, del codice privacy).
La finalità della chiamata telefonica è, in effetti, pur sempre quella di effettuare
proposte commerciali, a prescindere dal fatto che con la stessa telefonata si effettui
o meno anche una vendita di beni o servizi (come possibile ed anche avvenuto in
concreto, nulla impedendo al call-center di effettuare immediatamente un'offerta
commerciale, senza bisogno di sollecitazioni da parte delle persone contattate).
Diversamente opinando, una volta ammesso che una impresa commerciale possa
contattare anche coloro che, in base all'art. 130 del codice, hanno iscritto la propria
utenza nel registro pubblico delle opposizioni, lo stesso sistema del cosiddetto opt[1]out sarebbe di fatto vanificato, risultando inutile la prescritta consultazione di tale
registro prima di effettuare una telefonata per chiedere il consenso ad offrire beni o
servizi.
Telecom, avendo contattato per fini commerciali chi espressamente aveva negato il
proprio consenso o, comunque, non lo aveva espresso, al fine di provocare un
ripensamento, non ha rispettato la volontà degli utenti.
Gli interessati ben possono mutare opinione rispetto al trattamento dei loro dati
personali, revocando il dissenso già espresso, ma nell'ambito di iniziative che li
vedano protagonisti (come osservato dal tribunale, mediante contatto gratuito con il
numero 119 o nel contesto di richieste di informazioni).
Sulla questione del divieto di trattare ulteriormente i dati relativi alle utenze della
campagna "recupero consenso" per finalità promozionali, ivi compresi di coloro che,
a seguito di tale trattamento illecito, abbiano comunque prestato il proprio consenso,
la sentenza impugnata è immune dai vizi denunciati. Ed infatti, "i dati personali
trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati
personali non possono essere utilizzati", a norma dell'art. 11, comma 2, del codice
che, insieme alla previsione del sistema dell'opt-out introdotto con l'art. 130 comma 3
bis del codice, realizza - come osservato dal Garante nel controricorso - un
equilibrato bilanciamento tra libertà d'impresa e tutela della riservatezza dei dati
personali.
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro
8200,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 202