TLC: procedibile la domanda anche se la domanda in sede di conciliazione non coincide con il petitum in giudizio

"Per le controversie riguardanti contratti aventi ad oggetto servizi di telecomunicazioni l'art. 1, comma 11 della l. n. 249 del 1997 ha previsto la necessità di un tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al CORECOM appositamente istituito. Nessuna norma prevede anche l'ulteriore requisito della coincidenza tra l'oggetto del tentativo di conciliazione e quello della causa proposta poi in caso di esito negativo della conciliazione, posto che le norme vigenti si limitano a stabilire che la controversia giudiziale debba essere preceduta da un tentativo di conciliazione avanti al CORECOM competente. Ad ulteriore conferma di ciò, posto che il tentativo di conciliazione non richiede l'assistenza tecnica di un difensore, è evidente che non ha senso assumere che il tentativo di conciliazione debba contemplare petita e causae petendi identici a quelli delle domande svolte in causa: il tentativo di conciliazione, infatti, non ha natura di controversia giudiziale e quindi è ovvio che non abbia una causa petendi ed un petitum qualificabili come tali."

"Quanto alla liquidazione del danno patrimoniale da perdita di chance, il Tribunale reputa la sussistenza dei presupposti di legge per ricorrere alla liquidazione equitativa ex art. 1226 cc"

"La domanda attorea è ammissibile, in quanto è diretta al riconoscimento degli indennizzi cd "contrattuali", cioè somme riconosciute all'utente dalle Carte dei servizi delle compagnie telefoniche in caso di ritardata attivazione della linea, ritardata risoluzione del guasto, ritardata/mancata risposta al reclamo ovvero perdita del numero. Si tratta di un tipo di indennizzi, a ben vedere qualificabili come vere e proprie penali contrattuali, ben distinti dagli indennizzi cd "amministrativi", cioè quelli previsti dalla delibera AGCOM n. 73/2011 ed applicabili nel sistema di ADR previsto dagli artt. 14 e ss delle delibere AGCOM n. 173/2007 e 73/2011, di cui si è scritto nel paragrafo 6 che precede, questi sì richiedibili solo avanti all'AGCOM."


(Tribunale Milano sez. XI, 06/10/2021, n.8044)

Fonte: Redazione Giuffrè 2021





                        REPUBBLICA ITALIANA

                    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

                    TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

                      Sezione Undicesima Civile

Il Tribunale di Milano in composizione monocratica, in persona della

dott.ssa Ilaria GENTILE, ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

nella causa civile di appello, iscritta al n. 4060/2019 R.G. il

28.01.2019, promossa da:

G.B., nato a San Giuseppe Vesuviano il .., titolare dell'omonima

impresa individuale TENDENZE MODA DONNA DI G.B., con sede in Nola,

corso T., P.I.: .., di seguito, per brevità ; "G.B.",

rappresentato e difeso dagli avv.            

e con gli stessi elettivamente domiciliato in     , via S., presso e

nello studio legale dei detti Difensori, giusta procura speciale

alle liti ed elezione di domicilio allegata all'atto di citazione di

appello;

-Appellante-

contro:

FASTWEB S.P.A., C.F.: .., soggetta all'attività   di direzione e

coordinamento di SWISSCOM A.G., con sede in Milano, piazza A., in

persona del procuratore avv. Simona SERCHI, giusta procura in

autentica per notaio dott.ssa Elena TERRENGHI, rep. n. 35137, reg il

26.03.2019, di seguito, per brevità : "FASTWEB",

rappresentata e difesa dall'avvocato Margherita Grassi CATAPANO del

foro di Milano e con la stessa elettivamente domiciliata in Milano,

corso E., presso e nello studio del detto Difensore, giusta procura

speciale alle liti ed elezione di domicilio allegata alla comparsa

di costituzione e risposta di appello telematica;

-Appellata-

* * *

TERMINE per la memoria conclusionale di replica spirato il 7.06.2021.

* * *

CONCLUSIONI per parte Appellante:

"Voglia il Tribunale di Milano, respinta ogni contraria istanza,

deduzione ed eccezione, così provvedere:

in riforma totale della sentenza del Giudice di Pace di Milano n.

5718/2018, accogliere l'atto di appello perchè fondato in fatto ed

in diritto e per l'effetto, condannare FASTWEB S.P.A.:

a) alla restituzione della somma di euro 106,01, indebitamente

incamerata da FASTWEB S.P.A. sine causa, o in quella minore o

maggiore somma che il Giudicante vorrà determinare anche in via

equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. per il periodo di mancato e

discontinuo funzionamento del servizio telefonico ed ADSL;

b) al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti

dall'istante a causa del disservizio de quo, così come descritti in

premessa, danni stimati in euro 4.000,00 o in quella minore o

maggiore somma che il Giudicante vorrà determinare anche in via

equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.;

c) al pagamento della somma di euro 320,00 a titolo di indennizzo,

così   come previsto dalla Carta dei servizi di FASTWEB S.P.A. (euro

10,00 per ogni giorno di ritardo nell'attivazione del servizio);

d) al pagamento della somma di euro 100,00 a titolo di indennizzo

per la partecipazione al procedimento di conciliazione, o in quella

minore o maggiore somma che il Giudicante vorrà determinare anche

in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 cc;

e) l'avv. Giuseppe TARALLO chiede che il Giudice, con la sentenza,

voglia distrarre a suo favore i compensi non ancora riscossi e le

spese anticipate ai sensi dell'art. 93 c.p.c..

Impugna e contesta tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto ed

eccepito e chiede che la causa sia introitata a sentenza con la

concessione dei termini di cui all'art. 190 cpc."

* * *

CONCLUSIONI per parte Appellata:

"Voglia il Tribunale adito, contrariis reiectis,

Nel merito: rigettare l'avverso appello, in quanto infondato in

fatto ed in diritto e, per l'effetto, confermare la sentenza di

primo grado.

Subordinatamente ed in via preliminare: nella denegata e non creduta

ipotesi di accoglimento anche parziale dell'appello ex adverso

proposto,   dichiarare improcedibili/improponibili i fatti e le

pretese che non sono state oggetto di preventivo tentativo di

conciliazione.

Nel merito ed in via subordinata: in ipotesi di accoglimento anche

parziale   dell'appello, rigettare le domande avverse in quanto

infondate in fatto ed in diritto anche ai sensi dell'art. 1218 c.c.

e dell'art. 12 delle condizioni generali di contratto.

Sempre   nel merito ed in via ulteriormente subordinata: nella

denegata e non creduta ipotesi di accoglimento anche parziale della

domanda   dell'appellante, limitare l'eventuale risarcimento nei

limiti previsti dall'art. 12 delle condizioni generali di contratto.

In ogni caso, con vittoria di spese ed onorari del presente grado di

giudizio."

 

FATTO E DIRITTO

1. Allegazioni delle parti e decisione del primo grado

G.B., nella qualità di titolare dell'omonima impresa individuale TENDENZE MODA DONNA DI G.B., ha evocato in giudizio FASTWEB avanti al Giudice di pace di Milano, con atto di citazione notificato il 1.12.2015, deducendo: le parti hanno concluso a dicembre 2014 un contratto avente ad oggetto la linea fissa .., con offerta "Business Class", comprensiva della connessione internet ADSL e con portabilità dal precedente operatore telefonico TIM S.P.A.; i tecnici di FASTWEB hanno installato gli apparati ed il 22.12.2014 la linea è passata da TIM S.P.A. a FASTWEB; dal 22.12.2014 e sino al 5.01.2015 la linea fissa e la connessione dati sono state assenti mentre dal 5 al 23.01.2015 hanno funzionato in modo discontinuo; tale disservizio ha comportato l'irreperibilità verso i clienti e l'impossibilità di contattare i fornitori dell'impresa, provocando mancate vendite e ritardi nelle consegne di merce, nonché l'impossibilità di adoperare il sistema di pagamento tramite POS, con perdita di affari, atteso che numerosi clienti hanno rinunciato all'acquisto delle merci, non potendo utilizzare carte di credito o di debito; durante il mese di disservizio, G.B. ha sollecitato il call center di FASTWEB quotidianamente; solo il 23.01.2015 è intervenuto presso la sede dell'impresa un tecnico, che ha eliminato il disservizio, procedendo al cablaggio; dal 22.12.2014 in poi FASTWEB ha tuttavia addebitato a G.B. la somma di euro 106,01 per corrispettivi; la Convenuta ha riconosciuto il disservizio, accreditando somme per disservizio tecnico nella fattura relativa al periodo 1^.01.2015-28.02.2015; il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti al CORECOM si è svolto il 17.06.2015 senza esito; si chiede: la restituzione della somma di euro 106,01, pagata sine titulo, non avendo G.B. goduto del corretto funzionamento della linea telefonica e internet nel periodo di riferimento, il risarcimento dei danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e non patrimoniali subiti a causa del disservizio, quantificati in complessivi euro 4.000,00 o la diversa somma di giustizia liquidata semmai ex art. 1226 cc, l'indennizzo previsto dalla Carta dei servizi di FASTWEB per il ritardo nella corretta attivazione della linea, quantificati in euro 320,00 (euro 10,00 per ogni giorno di ritardo) e l'indennizzo di euro 100,00 per la partecipazione dell'utente al procedimento di conciliazione.

FASTWEB si è costituita, eccependo in via preliminare il mancato svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui alla delibera AGCOM n. 173/07/CONS, in ragione della non coincidenza oggettiva tra quanto richiesto nel tentativo di conciliazione innanzi al CORECOM Campania del 17.06.2015 e quanto richiesto in giudizio da G.B., e, nel merito, FASTWEB ha negato la debenza delle somme pretese, allegando: la compagnia telefonica convenuta è stata adempiente, atteso che, a seguito della segnalazione da parte di G.B. del 23.12.2014 circa il mancato funzionamento dei servizi, FASTWEB ha richiesto l'intervento di TIM S.P.A., proprietaria dell'infrastruttura di rete, concluso con esito positivo il 29.12.2014; a seguito di una seconda segnalazione da parte di FASTWEB del 14.01.2015, TIM S.P.A. ha rilevato un degrado della propria linea, intervenendo presso la sede di G.B. per procedere al corretto cablaggio della linea; nessun inadempimento è quindi imputabile a FASTWEB, che non è proprietaria dell'infrastruttura di rete, che è nella disponibilità di TIM S.P.A.; FASTWEB ha provveduto a tutto quanto in suo potere, cioè aprire un ticket trouble nei confronti di TIM S.P.A. per segnalare il disservizio per cui è causa; non è vero che l'utente è rimasto senza linea, atteso che dalle fatture emerge del traffico; le domande di risarcimento sono sprovviste di prova dell'an debeatur e del quantum, atteso che gli scontrini allegati da G.B. circa le transazioni negate relative al POS non provano alcunché; le domande risarcitorie relative al lucro cessante e ai danni non patrimoniali non possono essere accolte, atteso che l'art. 12 delle condizioni generali di contratto prevede una limitazione del risarcimento del danno da inadempimenti contrattuali al solo danno emergente; quanto alla richiesta di rimborso dei corrispettivi di cui alle fatture nn. 9660081 e 1224510 del 2015, tali fatture si riferiscono al periodo 22.12.2014-28.02.2015, mentre il disservizio alla linea è lamentato dal 22.12.2014 al 23.01.2015; inoltre, FASTWEB ha versato a G.B. la somma di euro 60,00 per gli occorsi disservizi, come indicato nella fattura n. 1224510; la richiesta di condanna al pagamento degli indennizzi è inammissibile in via giudiziale, in quanto richiedibili unicamente in sede amministrativa, come disposto dalla delibera AGCOM 73/2011/CONS; nessun indennizzo è dovuto per la partecipazione alla procedura obbligatoria di conciliazione innanzi al CORECOM, che è gratuita; la richiesta di condanna al pagamento degli indennizzi previsti dalla Carta del servizi di FASTWEB è infondata, perché nessun inadempimento è imputabile alla Convenuta, visto che ex art. 6.1 delle condizioni generali di contratto prevede un termine di 60 giorni per l'attivazione dei servizi, onde nessun ritardo è configurabile.

Il Giudice di pace di Milano, assegnato alle parti il richiesto termine ex art. 320 cpc, istruita la causa con l'assunzione di una testimonianza all'udienza del 21.11.2017, ha deciso la causa con la sentenza n. 5718/2018, con cui ha dichiarato l' "improcedibilità della domanda", in ragione della mancata coincidenza oggettiva tra quanto la parte ha richiesto in sede di tentativo di conciliazione presso il CORECOM e quanto domandato in giudizio, compensando le spese, testualmente scrivendo in parte motiva: "L'eccezione di improcedibilità è fondata e deve essere accolta. Secondo la giurisprudenza di merito (Trib. Milano XI 2326/2013) e di legittimità (Cass. civ. 15802/2005) qualora la legge imponga l'esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione il Giudice deve accertare che esista una perfetta coincidenza soggettiva tra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte, e che le domande formulate dalla parte siano le stesse intorno alle quali il tentativo si è svolto. Dall'esame della domanda proposta innanzi al CORECOM ed in particolare dall'esame del modello UG risulta che l'odierno attore da un lato non ha quantificato l'ammontare del danno, dall'altro non ha fatto menzione di disservizi alla rete internet quale motivo di doglianza, bensì soltanto alla linea telefonica, mentre nel presente giudizio ha parlato di disfunzioni alla rete internet ed ha effettuato una quantificazione in almeno euro 2.500,00 (valore non indicato nell'istanza di conciliazione) ed una richiesta di indennizzi per danno non patrimoniale, quest'ultima non presente , né quantificata nell'istanza di conciliazione. Ne consegue la mancanza di corrispondenza tra la fase stragiudiziale e quella giudiziale con l'effetto che la domanda attorea deve essere dichiarata improcedibile".

La sentenza appellata è stata pubblicata il 25.06.2018 e non risulta notificata ex art. 326 cpc.

2. Motivi di appello e trattazione del processo

G.B. ha notificato a FASTWEB via PEC il 23.01.2019 atto di citazione di appello, costituendosi in giudizio il 28.01.2019, chiedendo di riformare la sentenza e, ritenuta la procedibilità della causa, deciderla nel merito accogliendo le domande svolte in primo grado e riproposte in appello, spese rifuse in favore del Difensore antistatario, per i seguenti motivi.

Primo motivo di appello: erronea ricostruzione del fatto: la sentenza appellata ha errato nel dichiarare l'improcedibilità della domanda, in primo luogo nella parte in cui ha rilevato un difetto di corrispondenza tra le domande avanzate da G.B. in sede di conciliazione dinanzi al CORECOM e quelle proposte in giudizio: difatti, dall'analisi del modulo UG, nella sezione "oggetto del contratto", risultano spuntate tanto la voce relativa alla telefonia fissa, quanto quella relativa a internet, così come i riferimenti nel modulo alla "mancata/parziale fornitura del servizio" e "interruzione/sospensione del servizio"; inoltre, la linea ADSL utilizza la stessa struttura della linea telefonica, per cui il mancato o non corretto funzionamento della linea telefonica comporta altresì il mancato funzionamento della connessione a internet; pertanto, in ragione della tipologia di disservizio lamentato dall'Attore, le contestazioni e domanda avanzata in sede conciliativa avevano riguardato anche la fornitura del servizio ADSL; in ragione dell'identità tra le domande proposte, il Giudice di Pace ha errato nel pronunciare l'improcedibilità della domanda.

Secondo motivo di appello: errata applicazione del diritto: anche qualora non vi sia effettiva identità oggettiva tra le domande proposte avanti al CORECOM e quelle proposte in giudizio, la pronuncia dell'improcedibilità è errata in diritto, atteso che -ove sia rilevata la mancata proposizione della procedura di conciliazione ai sensi della delibera AGCOM n. 173/07/CONS- il Giudice di pace avrebbe comunque dovuto sospendere il processo, assegnare alle parti il termine per dare corso alla conciliazione avanti al CORECOM per integrare la condizione di procedibilità della domanda; in via di ulteriore subordine, il Giudice di prime cure ha altresì errato nel dichiarare ogni domanda improcedibile, nella misura in cui il tentativo di conciliazione era stato correttamente esperito con riferimento alla domanda risarcitoria inerente al mancato funzionamento del POS.

FASTWEB si è costituita, chiedendo la reiezione dell'appello e la conferma della impugnata sentenza, spese rifuse, in subordine chiedendo la declaratoria di improponibilità/improcedibilità parziale delle domande di G.B., e comunque il rigetto delle stesse, proponendo tutte le difese ed eccezioni svolte in primo grado.

Il Tribunale, acquisito ai sensi dell'art. 347 cpc il fascicolo di ufficio del primo grado, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni e a tale udienza, tenuta il 18.03.2021 nelle forme della trattazione scritta, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e sopra ricopiate, ha assegnato alle parti i termini massimi ex art. 190 cpc, scaduti il 18.05.2021 (fruito dalla parte Appellante) ed il 7.06.2021 (non fruito), all'esito trattenendo la causa in decisione ex art. 281quinquies co. 1 cpc.

3. Rito: ammissibilità dell'appello

Il Tribunale osserva che alla stregua di quanto emergente ex actis l'appello svolto da G.B.:

a) è stato tempestivamente proposto entro il termine di sei mesi di cui agli artt. 325 e 327 cpc, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza;

b) ha ad oggetto una sentenza del Giudice di pace pronunciata su una controversia di valore superiore ad euro 1.000,00, nonché decisa secondo diritto ed avente ad oggetto un contratto concluso per adesione ai sensi dell'art. 1342 cc;

c) l'Appellante si è costituito entro dieci giorni dalla data di perfezionamento della notifica dell'atto di citazione di appello nei confronti dell'Appellata.

Infine, l'appello è conforme al modello legale previsto dall'art. 342 cpc novellato nei termini che seguono: difatti, premesso che la Corte di legittimità ha chiarito che non è necessario che l'atto di appello contenga un vero e proprio "progetto di sentenza" alternativo alla decisione ma è sufficiente che dall'atto di appello si comprenda quali sono gli aspetti del percorso motivazionale censurati e per quale motivo (Cass. civ. sez. 3 del 5.05.2017 ord. n. 10916), il Giudice osserva che l'Appellante ha sufficientemente chiarito il quantum appellatum, cioè cosa ha inteso censurare, perché e come avrebbe dovuto decidere in tesi il Giudice di pace.

L'appello deve dunque essere deciso nel merito.

4. Decisione dei motivi di appello

E' opportuno esaminare congiuntamente i motivi di appello, in quanto hanno tutti ad oggetto la pretesa erroneità, in fatto ed in diritto, della sentenza impugnata nella parte in cui ha definito il processo con una declaratoria in rito di "improcedibilità della domanda", peraltro più correttamente inquadrabile come una declaratoria di "improponibilità della domanda": difatti, come chiarito dalla Corte di legittimità, ove si reputa che il tentativo di conciliazione sia una condizione dell'azione che deve preesistere alla proposizione della domanda la mancanza del medesimo determina l'improponibilità insanabile della domanda giudiziale, mentre ove si reputa che il tentativo di conciliazione costituisce una condizione che deve sussistere alla data della decisione, la carenza del tentativo determina improcedibilità sanabile in corso di causa.

In diritto, si osserva che per le controversie in materia di contratti aventi ad oggetto servizi di telecomunicazioni, l'art. 1 co. 11 della l. 31.07.1997 n. 249, recante l'istituzione dell'Autorità Garante delle telecomunicazioni, di seguito "AGCOM", ha previsto la necessità di un tentativo obbligatorio preventivo di conciliazione, delegando l'Autorità ad individuare in via generale per quali controversie sia necessario detto tentativo preventivo e le modalità di svolgimento dello stesso. L'AGCOM con la delibera dell'AGCOM n. 173/2007 (ratione temporis applicabile alla presente controversia instaurata in primo grado il 1^.12.2015) ha previsto all'art. 2 l'obbligatorietà del tentativo, da svolgersi avanti al CORECOM regionale o alla CCIAA, per tutte le controversie tra gestori ed utenti, eccetto solo quelle "attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime". Quanto alle conseguenze del mancato esperimento del detto tentativo, un orientamento giurisprudenziale di legittimità ha opinato nel senso che il mancato esperimento determini improcedibilità sanabile, nel senso che il sopravvenire del tentativo sana il vizio ed anzi il Giudice deve all'uopo sospendere il processo e assegnare termine per proporre il tentativo (Cass. civ. sez. 6 del 21.04.2011 ord. n. 9678; Cass. civ. sez. 3 del 27.06.2011 sent. n. 14103; Cass. civ. sez. 1 del 4.12.2015 sent. n. 24711). Altro orientamento della Corte di legittimità ha ritenuto che il tentativo di conciliazione sia condizione di proponibilità dell'azione, che deve pertanto sussistere prima dell'inizio della causa, onde la sua mancanza determina l'improponibilità insanabile del processo, con provvedimento terminativo di declaratoria di improponibilità (Cass. civ. sez. 3 del 30.09.2008 n. 24334; Cass. civ. sez. 2 del 27.10.2008 n. 25853; Cass. civ. sez. 3 dell'8.04.2010 n. 8362; Cass. civ. sez. 6-3 del 2.09.2015 ord. n. 17480).

Di recente, peraltro, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha finalmente composto il contrasto, sancendo che la mancanza del tentativo obbligatorio di conciliazione ha come effetto la mera improcedibilità della causa, onde il Giudice deve sospendere il processo ed assegnare all'attore il termine per promuovere il detto tentativo, con sanatoria ex tunc (Cass. civ. SS.UU. n. 8240 e 8241 del 28.04.2020).

Da quanto precede già emerge l'erroneità in diritto della sentenza impugnata, atteso che, anche ove sia in concreto ravvisabile la mancanza/carenza del tentativo di conciliazione, il Giudice del merito non può pronunciare in rito l'improponibilità del processo, ma deve assegnare il termine per la sanatoria della rilevata carenza.

In fatto, il Tribunale osserva che la presente controversia concerne un contratto avente ad oggetto la fornitura di servizi di telecomunicazioni, onde la stessa rientra nel novero delle cause per le quali il combinato disposto degli artt. 1 co. 11 l. 249/1997 e 2 della delibera AGCOM n. 173/07/CONS, prevede il tentativo preventivo obbligatorio di conciliazione avanti al CORECOM.

Altresì, è pacifico tra le parti, nonché documentale, che il tentativo di conciliazione è stato proposto da G.B. prima di proporre la presente causa ed è stato anche svolto avanti al CORECOM Campania, senza esito, come da verbale dell'incontro del 17.06.2015 (doc. 8 fasc. G.B.), occorrendo dunque verificare se il tentativo di conciliazione svolto sia pertinente alla causa poi promossa o riguardi altri vicende e sia dunque inidoneo a reputare assolta la condizione di procedibilità della causa.

Ora, anzi tutto il Tribunale osserva che le norme di legge che sanciscono l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione a pena di improcedibilità, in quanto prevedono dei limiti al diritto di azione previsto e garantito anche a livello costituzionale dall'art. 24 Cost., non possono che essere interpretate in senso restrittivo, come ricordato anche dalla Corte di legittimità a Sezioni Unite nella pronuncia sopra richiamata.

Orbene, nessuna norma di legge primaria o secondaria ha previsto che il tentativo di conciliazione debba avere un oggetto esattamente identico a quello della causa proposta avanti al Giudice, atteso che le norme vigenti e sopra ricordate si sono limitate a stabilire che la controversia giudiziale debba essere preceduta da un tentativo di conciliazione avanti al CORECOM competente. In aggiunta, posto che il tentativo di conciliazione non richiede l'assistenza tecnica di un difensore, non ha senso assumere che il tentativo di conciliazione debba contemplare petita e causae petendi identici a quelli delle domande svolte in causa, come avviene quando si verifica la litispendenza tra due cause. Il tentativo di conciliazione, difatti, non ha natura di controversia giudiziale e quindi è ovvio che non abbia una causa petendi ed un petitum qualificabili come tali.

In altre parole, secondo il Tribunale, per verificare l'idoneità del tentativo di conciliazione svolto da G.B. nei confronti di FASTWEB è sufficiente che il tentativo di conciliazione abbia prospettato la medesima vertenza (in senso a-tecnico) e, cioè, abbia avuto ad oggetto i medesimi disservizi e doglianze lamentati poi in questa causa. Difatti, la ratio legis delle norme in punto di tentativo di conciliazione in materia di telefonia non è quella di evitare un contrasto di giudicati (che è lo scopo dell'art. 39 cpc in punto di litispendenza tra processi), ma quella di far incontrare le parti prima dell'inizio del processo davanti ad un conciliatore tecnico, perché si confrontino sulle doglianze dell'utente e sul potenziale contenzioso insorgendo (quindi neanche compiutamente definito) e valutino se conviene loro o no una soluzione conciliativa che eviti ad entrambe un oneroso processo, i cui costi sono spesso sproporzionati rispetto all'effettivo pregiudizio: a fronte di tanto, l'obiettivo è soddisfatto se c'è stato almeno un tentativo di conciliazione tra le parti, da chiunque promosso, che abbia avuto ad oggetto le doglianze dell'utente.

Pertanto, l'unica interpretazione costituzionalmente compatibile delle complessive disposizioni di legge (e dell'Autorità delegata) in punto di tentativo di conciliazione è nel senso che la condizione del preventivo esperimento del tentativo è soddisfatta laddove vi sia stato tra le parti almeno un tentativo di conciliazione "sulla controversia" intesa in senso lato ed a-tecnico, cioè come vertenza tra le parti su specifiche problematiche relative alla telefonia e relativi effetti e pretese. Tale interpretazione è anche supportata dalla circostanza che il tentativo di conciliazione non prevede l'assistenza tecnica obbligatoria e dunque non ha senso applicare all'oggetto della conciliazione gli elementi distintivi (petitum e causa petendi) che identificano l'azione giudiziaria. Inoltre, applicando il rigido pregresso orientamento verrebbe a pregiudicarsi il diritto di azione della parte (incolpevole) che abbia svolto il tentativo di conciliazione e che voglia proporre azione giudiziaria ad esempio su danni, causalmente collegati all'inadempimento, ma sopravvenuti al tentativo, dal che deriva che tale orientamento rigido non può essere condiviso.

Ora, il Tribunale osserva che il Giudice di pace ha ritenuto la carenza di tentativo di conciliazione perché l'utente nell'istanza conciliativa non aveva quantificato il danno prospettato e non aveva lamentato disservizi alla connessione dati, ma solo alla linea di telefonia fissa ..

La valutazione del Giudice di pace non può essere condivisa, atteso che dal modulo UG, recante l'istanza conciliativa di G.B., alla sezione "I. Oggetto del contratto" l'utente ha barrato con una ‘x' che il servizio contrattualizzato da FASTWEB riguarda anche "servizi internet/ADSL", oltre a quello "servizi di telefonia fissa"; inoltre, dalla sezione "II. Oggetto della controversia", nei riquadri relativi ai disservizi di "mancata o parziale fornitura del servizio" e "interruzione/sospensione del servizio", l'utente ha barrato due ‘x', una di seguito all'altra, per ogni riquadro; da ciò si può ritenere che ogni ‘x' si riferisca alle singole barrature della precedente sezione relativa all'oggetto del contratto (doc. 9 fasc. G.B.): dunque, le contestazioni e doglianze dell'utente nell'istanza conciliativa hanno avuto ad oggetto tanto i servizi di telefonia fissa quanto la connessione a internet. Peraltro, la connessione ADSL da rete fissa risulta inscindibilmente legata alla presenza di una linea telefonica funzionante. Conseguentemente, l'assenza della linea telefonica o il malfunzionamento di quest'ultima si riverberano anche sulla possibilità di fruire della connessione a internet.

Da quanto precede si ricava che l'istanza conciliativa ha riguardato la medesima vertenza poi proposta in questa causa, avendo avuto ad oggetto le doglianze dell'utente sui lamentati disservizi dal 22.12.2014 al 23.01.2015 alla linea telefonica fissa .. ed alla connessione dati, e prospettando una richiesta risarcitoria per i danni conseguenti.

In conclusione, la sentenza di primo grado è errata nella parte in cui ha dichiarato l'improcedibilità della domanda, atteso che nel caso di specie la causa di primo grado era stata preceduta da idoneo ed esaustivo tentativo di conciliazione: di conseguenza, in accoglimento dei motivi di appello, la statuizione di improcedibilità deve essere riformata con conseguente decisione nel merito di tutte le domande svolte da G.B. in primo grado.

5. Domanda di restituzione di euro 106,01

G.B. ha chiesto la condanna di FASTWEB a restituire euro 106,01, pagata in relazione alle prime due fatture (aventi nn. 9660081/2015 e 1224510/2015) emesse da FASTWEB in esecuzione del contratto (doc. 13 fasc. G.B.), deducendo che le somme sono state pagate dall'utente sine causa solvendi perché dal 22.12.2014 al 23.01.2015 la linea era assente o discontinua. FASTWEB ha eccepito che: a) le fatture recano riferimento a un traffico telefonico mai contestato da G.B.; b) FASTWEB ha già corrisposto a G.B. euro 60,00 per "accredito disservizio tecnico" nella fattura n. 1224510 del 2015; c) la fattura n. 1224510/2015 riguarda anche il periodo temporale successivo al 23.01.2015, ossia quando la linea telefonica .. ha ripreso a funzionare regolarmente.

Il Tribunale osserva che la domanda è infondata e deve essere rigettata per i seguenti motivi.

Il credito di euro 106,01 trova titolo nel contratto concluso tra le parti, avente ad oggetto la fornitura di servizi di telecomunicazioni in cambio di un corrispettivo a carico dell'utente (doc. 14 fasc. G.B.). Le due fatture espongono i corrispettivi di cui al contratto (doc. 13 fasc. G.B.) e G.B. non ha contestato la conformità del quantum fatturato al quantum concordato.

In particolare, la circostanza, valorizzata da G.B., che per parte del periodo oggetto di fatturazione i servizi di telecomunicazioni siano stati assenti o discontinui potrebbe semmai giustificare ai sensi dell'art. 1460 cc il rifiuto di pagare il corrispettivo a carico dell'utente e quindi fondare la relativa eccezione e tuttavia non fonda anche la domanda del solvens di ripetizione di quanto già pagato in esecuzione del contratto.

Infatti, in assenza di risoluzione del contratto, domanda neanche mai svolta in causa, il pagamento del corrispettivo in esecuzione del contratto trova fondamento nel contratto e non è, pertanto, sine titulo, dal che discende che la domanda di G.B. è infondata, a tacere che è documentale ed incontestato che FASTWEB ha comunque spontaneamente accreditato all'utente per i lamentati disservizi del periodo 22.12.2014-23.01.2015 la somma di euro 60,00 (doc. 13 fasc. G.B.) e quindi più della metà di quanto pagato dall'utente per le prime due fatture pagate a favore di FASTWEB.

6. Domanda di risarcimento del danno: diritto

G.B. ha proposto contro FASTWEB una domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non, domanda a ben vedere da qualificarsi come diretta al risarcimento dei danni da perdita di chance, per gli affari ed i clienti persi a causa dell'irreperibilità dal 22.12.2014 al 5.01.2015 e del mancato funzionamento del POS per l'intero mese, con connessa lesione della reputazione commerciale per l'impossibilità di intrattenere rapporti via telefono e tramite internet con clienti e fornitori, a sostegno producendo 15 scontrini per pagamenti POS recanti la dicitura "transazione negata" (doc. 12 fasc. G.B.)e svolgendo prova per testi: la prova per testi è stata ammessa ed espletata dal Giudice di pace, che ha escusso la teste A. D. S. la quale, dichiaratasi cliente abituale del negozio di abiti di G.B. oltre che amica della moglie del medesimo, ha sostanzialmente confermato il capitolato attoreo (verb. ud. 21.11.2017).

FASTWEB ha negato la debenza, allegando che il malfunzionamento non sarebbe imputabile, in quanto dipendente da fatto di TIM S.P.A., in tesi responsabile della linea fisica, degradata, la quale avrebbe riparato il guasto su segnalazione di FASTWEB, anche contestando la carenza di prova del danno ed eccependo la limitazione di responsabilità prevista dall'art. 12 delle condizioni generali di contratto.

In diritto, il Tribunale osserva che il criterio di riparto dell'onere di allegazione e prova dell'azione di risarcimento del danno contrattuale svolta in causa è regolato dagli artt. 1218 e 2697 cc e dal principio della vicinanza della prova, in forza dei quali spetta a chi agisce in risarcimento allegare e provare la fonte legale o convenzionale dell'obbligazione che si allega totalmente o parzialmente inadempiuta, nonché allegare e provare il danno ed il nesso causale tra inadempimento totale o parziale e danno e, ciò fatto, incombe a chi si difende provare di avere adempiuto esattamente o di non avere potuto adempiere per causa a sé non imputabile, ovvero altri fatti idonei a paralizzare la pretesa attorea (Cass. civ. SS.UU. del 23.09.2013 n. 21678; Cass. civ. sez. 2 del 26.07.2013 n. 18125; Cass. civ. sez. 3 del 26.02.2013 n. 4792; Cass. civ. del 25.10.2007 n. 22361; Cass. civ. del 7.03.2006 n. 4867; Cass. civ. del 1^.12.2003 n. 18315).

Quanto alla disciplina speciale relativa alla materia delle telecomunicazioni, il Giudice osserva che la legge n. 249/1997 ha istituito l'Autorità di Garanzia per le comunicazioni, di seguito AGCOM, con ampi potere di controllo, vigilanza e disciplina, anche regolamentare sui fornitori dei servizi di telefonia. Successivamente, il d. lgs 1^.08.2003 n. 259, come modificato, denominato "Codice delle comunicazioni elettroniche", di seguito: "CCE", prevede -in attuazione delle direttive UE n. 19, 20, 21 e 22 del 2002 sul "servizio universale"- agli artt. 53 e ss, nella formulazione ratione temporis vigente all'epoca dei fatti di causa (2015) una serie di diritti degli utenti e di obblighi degli operatori, nonché previsioni sul contenuto del contratto, delegando ulteriori poteri regolamentari all'AGCOM. Nel CCE, è previsto, inter alia, il diritto dell'utente a cambiare operatore telefonico mantenendo lo stesso numero fisso e mobile, cd number portability (art. 80 CCE), nonché la qualità del servizio, da erogarsi con continuità secondo standard predefiniti nelle Carte dei servizi degli operatori di telefonia (artt. 61 e 72 CCE). All'epoca dei fatti (2015) la procedura della "number portability" era regolata dalla delibera AGCOM n. 274/2007/CONS del 6.06.2007, c.s.m.: gli artt. 17 e ss della detta delibera stabiliscono che la richiesta di portabilità della linea può pervenire al gestore donating (cioè quello che ha in uso la linea dall'utente) sia direttamente dall'utente sia dal gestore recipient (cioè il gestore a cui la linea deve essere trasferita); il gestore che riceve la richiesta di portabilità deve comunicare all'altro la richiesta ed individuare una data per effettuare l'operazione, cd "DAC"; entrambi debbono assicurare la continuità del servizio a favore dell'utente e impegnarsi per assicurare la sincronizzazione della portabilità del numero al passaggio della linea; la richiesta di portabilità non può essere rifiutata dal gestore donating, salvo specifici motivi di impossibilità tecnica determinati dalla Autorità (ad es.: non titolarità del numero in capo al cedente, ecc.); i gestori telefonici comunicano tra loro attraverso una piattaforma telematica comune.

In aggiunta, il Giudice rileva come l'AGCOM, in attuazione dei menzionati artt. 61 e 72 CCE, con le delibere 179/2003/CSP, 259/2004/CSP e 79/2009 CSP ha previsto l'emanazione da parte degli operatori telefonici delle cd "Carte dei servizi", aventi un contenuto in parte predeterminato dell'Autorità, recanti i livelli e gli obiettivi minimi di qualità dei servizi: in tali documenti, ciascun operatore è tenuto a definire i tempi di esecuzione di alcuni servizi accessori a quello principale di telecomunicazioni, tra cui, ad esempio, per quanto qui interessa, la portabilità delle linee con conservazione del numero, l'attivazione di nuove linee, l'obbligo di risposta ai reclami, l'obbligo di informativa di impedimenti nella portabilità/attivazione della linea, ecc. Come chiarito dall'AGCOM in numerose pronunce rese in sede di definizione amministrativa dei contenziosi tra utenti ed operatori telefonici, ai sensi degli artt. 13 e ss delibera 173/2007, la "Carta dei servizi" integra le condizioni generali di contratto, indicando tempi ed obbligazioni vincolanti per l'operatore, che è quindi obbligato ad eseguire le prestazioni tecniche assunte nei tempi ivi indicati ovvero, ove insorgano eccezionali difficoltà tecniche, a comunicare nello stesso termine tali insorte problematiche all'utente (ex multis: delibera AGCOM 26/18/CIR del 15.02.2018, D'AMBROSIO c. WIND TRE S.P.A., sul sito istituzionale dell'AGCOM).

Quanto al danno risarcibile, ai sensi dell'art. 1223 cc, il danneggiato ha diritto al risarcimento dei danni che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, comprensivi tanto della perdita subita, quanto del mancato guadagno: "…il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato…." (Cass. civ. sez. 2 del 26.09.2016 n. 18832). Circa il danno patrimoniale da mancato guadagno, incombe al danneggiato provare che, ove l'altro contraente fosse stato adempiente, avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, che invece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (ex multis: Cass. civ. sez. 3 del 3.12.2015 n. 24632; conf. Cass. civ. sez. 3 del 28.01.2005 n. 1752). La giurisprudenza ha di recente enucleato, anche nell'ambito del danno patrimoniale, la voce del danno c.d. "da perdita di chance", che consiste non già nella perdita di un vantaggio economico specifico ma nella perdita (certa) della possibilità di conseguire un determinato vantaggio economico, affermando: "In tema di somministrazione del servizio di telefonia fissa, il danno da perdita della possibilità di acquisire nuova clientela, conseguente al mancato o inesatto inserimento nell'elenco telefonico dei dati identificativi del fruitore, si configura come perdita di chance, atteso che esso non consiste nella perdita di un vantaggio economico ma in quella della possibilità di conseguirlo sicché, trattandosi di un genere di pregiudizio caratterizzato dall'incertezza, è sufficiente che lo stesso sia provato in termini di "possibilità" (la quale deve tuttavia rispondere ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza) e ne è consentita la liquidazione in via equitativa" (Cass. civ. sez. 3 dell'8.06.2018 n. 14916; conf.: Cass. civ. sez. 3 del 24.06.2014 n. 23154, evidenza dell'estensore).

Quanto al danno non patrimoniale, il risarcimento scaturente dall'inadempimento ex artt. 1218 e 1223 cc comprende sia i pregiudizi patrimoniali, sia i danni non patrimoniali, nei casi previsti dalla legge ovvero se inerisce diritti inviolabili della persona previsti dalla Costituzione. Al fine di evitare il proliferare di liti bagatellari, i pregiudizi non patrimoniali risarcibili sono limitati a quelli aventi il carattere della gravità, ed altresì derivanti da una lesione seria di interessi meritevoli di tutela; risultano non risarcibili, pertanto, i meri fastidi, i disagi, le ansie o i disappunti (così: Cass. civ. SS.UU. dell'11.11.2008 n. 26972). In buona sostanza, ove il danneggiato lamenti un danno non patrimoniale ex contractu, il risarcimento spetta quando l'inadempimento leda interessi di rilevanza costituzionale, l'offesa superi la soglia di normale tollerabilità ed il pregiudizio patito non sia futile o meramente bagatellare (Cass. civ. sez. 3 del 13.11.2009 n. 24030; conf.: Cass. civ. sez. L del 4.03.2011 n. 5237).

In punto di liquidazione del danno, l'art. 1226 cc stabilisce che, ove il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice in via equitativa. La giurisprudenza ha chiarito che la liquidazione equitativa del danno presuppone l'accertamento dell'esistenza di un danno risarcibile, l'impossibilità o rilevante difficoltà di una stima esatta del danno, il fatto che tale impossibilità non dipenda dall'inerzia della parte gravata dell'onere della prova; ciò poiché la richiesta di condanna ex art. 1226 cc non può risolversi in uno strumento processuale per sottrarsi all'ordinario onere della prova di cui all'art. 2697 cc: "L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso" (Cass. civ. sez. 1 del 14.05.2018 n. 11698).

Infine, in punto di liquidazione equitativa in materia disservizi telefonici, si rileva quanto segue. La L. 14.11.1995 n. 481, rubricata. "Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità", ha istituito le Autorità indipendenti e ne ha determinato i compiti, tra i quali quello della tutela degli utenti: tra le forme di tutela degli utenti rientra la predisposizione di un meccanismo per la risoluzione extragiudiziale delle controversie, come sancito dalla dir. n. 22/2002/CE sul cd "servizio universale", implementata dal Legislatore nazionale con l'art. 84 CCE, rubricato "Risoluzione extragiudiziale delle controversie", che recita: "1. L'Autorità, ai sensi dell'art. 1, co. 11, 12 e 13 l. 31.07.1997 n. 249, adotta procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose per l'esame delle controversie in cui sono coinvolti i consumatori e gli utenti finali, relative alle disposizioni di cui al presente capo, tali da consentire un'equa e tempestiva risoluzione delle stesse, prevedendo nei casi giustificati un sistema di rimborso o di indennizzo". L'AGCOM ha, all'uopo, adottato con la delibera 173/2007, artt. 14 e ss, un meccanismo per la definizione extragiudiziale avanti a sé delle controversie (sempre facendo salva la facoltà dell'utente di adire il Giudice per il riconoscimento del maggiore danno), meccanismo da attivarsi avanti alla detta Autorità amministrativa su istanza congiunta delle parti o anche del solo utente. Con la successiva delibera AGCOM del 16.02.2011 n. 73 sono stati poi stabiliti gli indennizzi minimi riconoscibili dall'Autorità amministrativa nell'ambito del meccanismo di alternative dispute resolution previsto dagli artt. 14 e ss della delibera 173/2007. Sul tema di recente la Corte di legittimità ha affermato che gli indennizzi in parola sono richiedibili unicamente avanti all'Autorità, fermo restando che, ove sia provato un danno, gli stessi possono essere adoperati quale parametro di liquidazione equitativa ex art. 1226 cc: "Gli indennizzi sono previsti nella delibera AGCOM e nel D.M. citati in funzione deflattiva, per prevenire ed evitare il contenzioso inducendo il cliente a ricorrere agli organismi di composizione delle controversie. Essi non equivalgono ad una presunzione sul verificarsi stesso del danno, e non possono quindi supplire alla mancata prova, come nel caso di specie, dello stesso verificarsi del danno. Non possono quindi essere direttamente utilizzati, qualora si arrivi alla introduzione della causa e con essa ad una domanda risarcitoria fondata sulle regole ordinarie dell'inadempimento e della prova del danno, come prova presuntiva dell'an, oltre che del quantum, del danno. Essi potrebbero eventualmente essere utilmente richiamati, qualora l'attore avesse già fornito la prova dell'effettivo verificarsi di un danno patrimoniale, del quale non fosse in grado dì fornire l'esatta quantificazione, come parametro utilizzabile ai fini di un risarcimento in via equitativa." (Cass. civ. sez. 3 del 21.06.2017 n. 15649, in parte motiva, evidenza dell'estensore).

7. Domanda di risarcimento del danno: decisione

Il Tribunale osserva che alla luce dei principi di diritto da applicare alla decisione e delle emergenze istruttoria, la domanda di G.B. è risultata parzialmente fondata limitatamente al lamentato danno da perdita di chance per affari e clienti persi, in quanto questo pregiudizio è stato sufficientemente provato, e deve essere accolta per quanto di ragione, per i seguenti motivi.

Quanto all'esistenza della fonte negoziale dell'obbligazione di fornire il servizio di telefonia, è pacifico e documentale che le parti hanno concluso un contratto avente ad oggetto l'erogazione di una linea fissa ed ADSL con portabilità del numero .. da TIM S.P.A., tanto emergendo dalla proposta di abbonamento versata in causa (doc. 14 fasc. G.B.) e dalle convergenti difese delle parti.

E' incontestato e documentale che la linea con numero .. è stato rilasciato da TIM S.P.A. a favore di FASTWEB il 22.12.2014, in quanto ciò è stato dichiarato da G.B. nei suoi atti e non è stato mai contestato specificamente da FASTWEB, trattandosi anche della data indicata nella prima fattura emessa da FASTWEB a carico dell'utente (doc. 13 fasc. G.B.), quale data a partire dalla quale è stato erogato il servizio.

Ora, a fronte dell'allegazione di G.B. di inadempimento totale sino al 5.01.2015 e parziale dal 5.01.2015 al 23.01.2015, FASTWEB non ha fornito idonea prova liberatoria: la stessa, difatti, si è limitata ad allegare che l'inadempimento (totale prima, e parziale poi) non sarebbe imputabile a se stessa, in quanto causato da TIM S.P.A. e, segnatamente, al degrado del cavo fisico di TIM S.P.A., tramite il quale in tesi FASTWEB eroga il servizio. Orbene, a sostegno di tali allegazioni FASTWEB si è limitata a produrre una schermata informatica senza indicare da quale piattaforma è stata tratta e quando: dal documento in parola, quasi illeggibile e comunque recante acronimi e sigle incomprensibili nulla di specifico si ricava, in ogni caso non emerge idonea prova liberatoria (doc. 5 fasc. FASTWEB).

Per di più, la asserita valenza probatoria del documento in parola è contraddetta patentemente dal "rapporto di intervento tecnico del 23.01.2015": tale documento, su carta intestata FASTWEB e sottoscritto dal cliente dall'incaricato di FASTWEB (doc. 10 fasc. G.B.), dimostra che il malfunzionamento è stato riparato da un tecnico di FASTWEB che ha provveduto al cablaggio. Da tale documento emerge dunque che il malfunzionamento non era riconducibile a problematiche nella sfera di controllo dell'ex monopolista TIM S.P.A. ma in quella di FASTWEB, la quale ha provveduto in autonomia alla risoluzione del guasto.

In conclusione, sussiste dunque evidenza del primo elemento costitutivo (l'inadempimento imputabile) del preteso diritto al risarcimento.

Quanto al lamentato danno, il Tribunale rileva che il già citato rapporto di intervento del 23.01.2015 attesta il mancato funzionamento del POS prima della riparazione (doc. 10 fasc. G.B.). Inoltre, l'Appellante ha prodotto una dozzina di scontrini recanti la dicitura "transazione negata" (doc. 12 fasc. G.B.), che comprovano la circostanza allegata per cui a causa del non funzionamento del POS dei clienti che intendevano provvedere al pagamento a mezzo bancomat o carta di credito non hanno potuto procedervi nel periodo in questione (protrattosi per circa 30 giorni).

E' poi emersa l'irreperibilità telefonica di G.B. da parte di clienti e fornitori che intendevano contattarlo sulla linea fissa .. nel periodo 22.12.2014-5.01.2015, stante l'integrale malfunzionamento della linea fissa e dati.

La teste A. D. S., sentita dal Giudice di pace all'udienza del 21.11.2017, ha riferito che il POS non funzionava ed essa stessa ha desistito da acquisti che intendeva effettuare presso il punto di vendita di G.B. per questa ragione: il Tribunale osserva che della attendibilità della citata teste non vi è ragione di dubitare, essendo estranea alla lite, direttamente informata sui fatti riferiti, autrice di una deposizione coerente in sé e con le altre evidenze di causa, non smentita da prova contraria, sentita nel contraddittorio delle parti e previa assunzione della dichiarazione di impegno (verb. ud. 21.11.2017).

Da ultimo, la circostanza che il mancato funzionamento del POS abbia generato una perdita di affari all'impresa di G.B. può reputarsi altresì provata per presunzioni, risultando un fatto notorio che gli acquisti di vestiti (il genere merceologico trattato da G.B.) avvengono nella gran parte dei casi con moneta digitale e non in contanti, di talché il mancato funzionamento del POS per 30 (trenta) giorni nel periodo delle festività natalizie non può che avere cagionato una perdita quanto meno di parte degli affari altrimenti conclusi, essendo ragionevolmente probabile, secondo l'id quod plerumque accidit, che non tutti i clienti di G.B. che nel periodo 22.12.2014-23.01.2015 intendevano pagare con il POS e non ci sono riusciti, avevano poi con sé la disponibilità di denaro per poter perfezionare l'acquisto in contanti ovvero la possibilità di tornare in un secondo momento per perfezionare l'acquisto.

In conclusione, deve reputarsi provato in punto di an debeatur per la perdita di chance.

Di contro, G.B. non ha fornito sufficiente evidenza delle altre voci di danno, atteso che non risulta provato in causa un danno emergente (esborsi o altro) causalmente connesso al disservizio telefonico né, del pari, G.B. ha fornito evidenza del lamentato danno reputazionale nella platea dei suoi clienti e fornitori, essendo sul punto le allegazioni completamente vaghe e comunque risultando l'irreperibilità lamentata molto circoscritta nel tempo per dare corso ad una lesione della reputazione commerciale di G.B..

L'eccezione difensiva svolta da FASTWEB, che ha invocato l'applicazione delle limitazioni di responsabilità previste in testi dall'art. 12 delle condizioni generali di contratto, è infondata, atteso che FASTWEB non ha prodotto tali condizioni generali di contratto né, men che meno, ha fornito prova della specifica approvazione di tale clausola vessatoria in conformità agli artt. 1341 e 1342 cc.

Quanto alla liquidazione del danno patrimoniale da perdita di chance, il Tribunale reputa la sussistenza dei presupposti di legge per ricorrere alla liquidazione equitativa ex art. 1226 cc, essendo sostanzialmente impossibile dimostrare e misurare in via diretta l'entità del danno da perdita di chance per la perdita di affari riconducibile al malfunzionamento del numero in entrata per tre mesi. Nel caso di specie, in conformità ai principi esposti dalla citata Cass. 15649/2017, appare equo ricorrere -in via parametrica- ai valori monetari previsti dalla delibera n. 73/2011 AGCOM per l'indennizzo di disservizi consimili a quelli accertati in causa.

In particolare, gli artt. 5 e 12 della delibera n. 73/2011 dell'AGCOM, nella formulazione ratione temporis vigente nell'anno 2015, prevedono un indennizzo di euro 10,00/die per ogni giorno di malfunzionamento integrale per ciascun servizio non accessorio, ovvero di euro 5,00/die per ogni giorno di malfunzionamento parziale per ciascun servizio non accessorio.

Nel caso di specie, si è trattato di un malfunzionamento integrale del servizio di telefonia fissa e del servizio dati dal 22.12.2014 al 5.01.2015 (pari a 14 giorni) e parziale dal 5.01.2015 al 23.01.2015 (pari a 18 giorni): di conseguenza, ai sensi dell'art. 1226 cc, si reputa equo e congruo liquidare il danno patrimoniale da perdita di chance dedotto e provato nella misura di euro 280,00 per il periodo dal 22.12.2014 al 5.01.2015 (euro 10,00 x 2 servizi x 14 giorni = euro 280,00) e di euro 180,00 per il periodo successivo (euro 5,00 x 2 servizi x 18 giorni = euro 180,00), pari a complessivi euro 460,00, in valuta dell'epoca dei fatti (23.01.2015).

Si tratta di un credito di valore, onde spettano al danneggiato la rivalutazione ISTAT dal 23.01.2015 ad oggi e gli interessi legali ex art. 1284 cc conteggiati -sulla sorte come pro tempore rivalutata ISTAT- dal 23.01.2015 sino al saldo effettivo.

8. Domanda di G.B. diretta alla condanna di FASTWEB a pagare l'indennizzo di euro 320,00 di cui alla Carta dei servizi

G.B. ha chiesto condannarsi FASTWEB a pagare la somma di euro 320,00 (10,00 euro/die per 32 giorni), per ogni giorno di ritardo nell'attivazione del servizio di linea fissa .. e dati, secondo quanto disposto dall'art. 5.3 della Carta dei servizi di FASTWEB, anche versata in causa (doc. 14 fasc. G.B.).

FASTWEB ha negato la debenza, eccependo che gli indennizzi sono richiedibili solo davanti all'AGCOM e che l'art. 5.1 della stessa Carta dei servizi prevede il termine di giorni 60 per l'attivazione della linea fissa e che tale termine è stato rispettato, in reazione alla proposta di abbonamento datata 1^.12.2014, onde alcun ritardo è prospettabile.

Il Tribunale evidenzia che la domanda attorea è ammissibile ma infondata e deve essere, pertanto, rigettata, per i seguenti motivi.

La domanda attorea è ammissibile, in quanto è diretta al riconoscimento degli indennizzi cd "contrattuali", cioè somme riconosciute all'utente dalle Carte dei servizi delle compagnie telefoniche in caso di ritardata attivazione della linea, ritardata risoluzione del guasto, ritardata/mancata risposta al reclamo ovvero perdita del numero. Si tratta di un tipo di indennizzi, a ben vedere qualificabili come vere e proprie penali contrattuali, ben distinti dagli indennizzi cd "amministrativi", cioè quelli previsti dalla delibera AGCOM n. 73/2011 ed applicabili nel sistema di ADR previsto dagli artt. 14 e ss delle delibere AGCOM n. 173/2007 e 73/2011, di cui si è scritto nel paragrafo 6 che precede, questi sì richiedibili solo avanti all'AGCOM.

Nel merito, tuttavia, la domanda di G.B. è infondata, atteso che nessun ritardo nell'attivazione è in concreto ravvisabile a carico di FASTWEB, posto che a fronte della proposta di abbonamento datata 1^.12.2014, il servizio risulta attivato -sia pure in modo discontinuo- dal 5.01.2015, come riconosciuto dallo stesso G.B., onde l'attivazione è avvenuta nel termine di 60 giorni di cui all'art. 5.1 della Carta dei servizi (doc. 14 fasc. G.B.). Deve anche soggiungersi che il disservizio consistente nella discontinuità della linea è stato già oggetto di un riaccredito di euro 60,00 da parte di FASTWEB in favore dell'utente (doc. 13 fasc. G.B.) ed è stato altresì oggetto di altra e distinta domanda, disaminata nel paragrafo 7, con riconoscimento di risarcimento in relazione ai danni dedotti e provati.

9. Domanda di G.B. diretta alla condanna di FASTWEB a pagare l'indennizzo di euro 100,00 per la partecipazione al tentativo di conciliazione

G.B. ha chiesto la condanna di FASTWEB a pagare in suo favore la somma di euro 100,00, a titolo di indennizzo per la partecipazione alla procedura di conciliazione innanzi al CO.RE.COM, come disposto dall'art. 19.6 della delibera dell'AGCOM n. 173/07/CONS.

La domanda è inammissibile.

Trattasi infatti di indennizzo cd "amministrativo", e da richiedere pertanto nell'ambito del tentativo preventivo di conciliazione avanti al CO.RE.COM, per tutto quanto argomentato nel paragrafo che precede. In aggiunta a tale assorbente considerazione, la domanda è comunque infondata, atteso che l'art. 19.6 della delibera dell'AGCOM n. 173/07/CONS stabilisce che l'Autorità "può riconoscere altresì il rimborso delle spese necessarie e giustificate per l'espletamento della procedura" (sottolineatura dell'estensore). Nel caso di specie difettano tanto la mera allegazione quanto l'adeguato supporto probatorio in ordine alle spese che G.B. avrebbe sostenuto per partecipare a tale tentativo di conciliazione, ricordandosi che non è prevista l'obbligatorietà della Difesa tecnica, onde la richiesta di tale indennizzo resta del tutto apodittica.

10. Spese del doppio grado

Dall'accoglimento dell'appello con riforma della sentenza di primo grado discende la riforma del capo della sentenza relativamente alla statuizione sulle spese del primo grado che devono dunque essere qui delibate unitamente a quelle del grado di appello. Infatti, in tema di impugnazioni, il potere del giudice dell'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal Giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione (Cass. civ. sez. 3 sentenza n. 27606 del 29.10.2019).

In diritto, il Tribunale evidenzia che la decisione sulle spese del doppio grado è regolata dagli artt. 91 e ss cpc: in forza di tali disposizioni, il soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive, ovvero, ex C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La ratio di tali disposizioni è che chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori, rispondendo il principio di causalità ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ. sez. 3 n. 19456 del 15.07.2008; conf.: Cass. civ. sez. 3 n. 4074 del 20.02.2014).

Nel caso di specie, all'esito del doppio grado di giudizio, la causa si è conclusa con la soccombenza reciproca parziale delle parti, prevalente a carico di FASTWEB, risultata inadempiente e comunque debitrice di G.B., sia pure per importo inferiore a quanto preteso in citazione. Di conseguenza, in applicazione del principio della causalità della lite, FASTWEB deve sere condannata a rifondere a mani dell'avv. G. T., dichiaratosi antistatario per G.B., i 2/3 delle spese di lite del doppio grado, compensato tra le parti il restante terzo, in ragione della vista soccombenza parziale.

Quanto alla liquidazione delle spese, applicato il d.m. 55 del 10.03.2014, come modificato, avuto riguardo al tenore delle memorie, all'impegno difensivo ed al valore della causa, determinato in base al criterio del decisum e non del petitum ai sensi dell'art. 5 d.m. 55/2014 e dunque compreso tra euro 0,01 ed euro 1.100,00, si reputano co