Cessazione della materia del contendere e condanna alle spese

Corte di Cassazione sentenza n. 7607 depositata il 28 marzo 2018

CONTENZIOSO TRIBUTARIO – CONDANNA ALLE SPESE – SOCCOMBENZA VIRTUALE

Svolgimento del processo

In data 21 aprile 2009 la Società DE S.r.l. registrava presso l’Agenzia delle entrate un contratto di locazione commerciale con un canone annuo di Euro 42.000,00 oltre IVA, ed avendo optato in contratto per l’imposizione della stipulata locazione al regime IVA, presentava all’Ufficio una istanza di rimborso della maggiore imposta versata pari ad Euro 420,00. Avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione, la società proponeva ricorso innanzi alla CTP di Gorizia. Nel corso del giudizio l’Ufficio depositava l’attestazione della Banca d’Italia- Tesoreria dello Stato di avvenuta erogazione del rimborso richiesto. La CTP dichiarava l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, compensando le spese di lite. La sentenza veniva appellata dalla società contribuente, eccependo l’omessa pronuncia con riferimento agli interessi moratori e la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, commi 1 e 2 nonchè degli artt. 91 e 92 c.p.c., dolendosi della compensazione delle spese di lite. La CTR del Friuli Venezia Giulia accoglieva la domanda con riferimento agli interessi moratori e condannava l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite del grado di appello, che liquidava in Euro 9,88. Propone ricorso per la cassazione della sentenza la società contribuente, affidandolo a cinque motivi e presentando memorie. Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione

Il Collegio ha disposto la redazione della sentenza, con motivazione semplificata.

1.Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e/o 92 e/o art. 336 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 3, tenuto conto che il giudice di appello non avrebbe provveduto d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della parziale riforma della sentenza impugnata.

1.1.II motivo è infondato. Il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, dato che l’onere di esso va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite (Cass. 18837 del 2010; Cass. n. 6259 del 2014), poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo di impugnazione (Cass. n. 11423 del 2016). Nella specie, la CTR, con riferimento al secondo motivo di appello, relativo alla compensazione delle spese del giudizio di primo grado, ha dato atto della correttezza della decisione del giudizio di primo grado, provvedendo, a seguito dell’accoglimento della domanda in punto di interessi moratori, facendo buon governo del suindicato principio, alla liquidazione delle spese del grado di giudizio.

2.Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’inesistenza di “soccombenza reciproca” o “altre gravi ragioni ed eccezionali ragioni”, in quanto la CTR avrebbe rigettato il motivo di appello in punto di spese di lite del giudizio di primo grado, affermando che “i giudici di prime cure hanno dato una giustificazione della compensazione delle spese del grado del giudizio in linea con gli insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione in tema di compensazione per giusti motivi” con la conseguenza che la CTR avrebbe inteso erroneamente applicabile la previgente formulazione dell’art. 92 c.p.c. (ed in violazione del medesimo) che prevedeva la concorrenza di giusti motivi.

3.Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza del requisito per la compensazione delle spese del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che la motivazione farebbe riferimento alla previgente formulazione dell’art. 92 c.p.c..

Secondo parte ricorrente la contraddittorietà emergerebbe anche dalla circostanza che la CTR, rinviando per relationem alla sentenza di primo grado, non avrebbe assolutamente tenuto conto della circostanza che l’Agenzia delle entrate non aveva nè provveduto ad effettuare il rimborso nel termine amministrativo e precontenzioso dei novanta giorni previsto per la formazione del silenzio rifiuto impugnabile giudizialmente, nè aveva tenuto in adeguato conto la circostanza che l’Agenzia delle entrate era nella impossibilità di svolgere qualsiasi difesa in fatto ed in diritto del proprio operato, con conseguente soccombenza (quantomeno virtuale) della stessa, per cui la compensazione delle spese di giudizio doveva essere considerata una evidente violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica.

I motivi sono infondati. Non può essere apprezzato nella specie il dedotto vizio motivazionale nè la contestata violazione di legge della sentenza impugnata, la quale si è riportata alla pronuncia della CTP condividendone le conclusioni. In particolare, il giudice di primo grado aveva giustificato la compensazione delle spese, individuandone le ragioni nel comportamento processuale posto in essere dall’Ufficio, il quale aveva tempestivamente provveduto a riconoscere il diritto al rimborso, avviandone la procedura di liquidazione, facendo proprie le argomentazioni difensive proposte dalla difesa erariale.

Essendo, nella specie, in discussione la corretta interpretazione dell’art. 92 c.p.c., e quindi la dedotta violazione di questa norma di diritto, comunque non rileverebbero le supposte carenze motivazionali della decisione impugnata, perchè, come si desume dall’art. 384 c.p.c., quando viene sottoposto a sindacato il giudizio di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato alla plausibilità della giustificazione. Sicchè un giudizio di diritto potrà risultare incensurabile anche se mal giustificato, perchè, secondo quanto prevede appunto l’art. 384 c.p.c., comma 4, la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione da parte della Corte “quando il dispositivo sia conforme al diritto” (Cass., Sez.Un. n. 28054 del 2008; Cass. n. 13086 del 2015).

Orbene, alla cessazione della materia del contendere, nel corso di un giudizio di impugnazione del silenzio – rifiuto dell’Amministrazione finanziaria per il riconoscimento del diritto al rimborso richiesto dal contribuente, non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale riconoscimento consegua ad un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, ai sensi dell’art. 88 c.p.c., che può essere premiato con la compensazione delle spese di lite, soprattutto qualora tale comportamento non consegua ad una manifesta illegittimità dell’atto impugnato, sussistente sin dal momento della sua emanazione (Cass. n. 7273 del 2016; Cass. n. 22231 del 2011; Cass. n. 19947 del 2010). Nella specie, invero, fu la contribuente a versare erroneamente al momento della registrazione del contratto di locazione a titolo di imposta di registro una somma superiore e poi, avvedendosi dell’errata tassazione del canone annuo al 2%, in luogo di quella dell’1%, ebbe a presentare all’Agenzia delle entrate un’istanza di rimborso.

5.Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 82 e 91 c.p.c. e/o D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la CTR, nel liquidare le spese di lite del giudizio di appello a favore della società DE s.r.l. applicava erroneamente tali norme. La contribuente, infine, solleva questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 212 del 2011, art. 13 introduttivo dell’art. 91 c.p.c., comma 4 in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..

6. Con il quinto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per quanto riguarda la liquidazione al di sotto dei minimi tariffari di cui al D.M. n. 127 del 2004 e dell’art. 91 c.p.c., comma 4, in quanto la C.T.R., a fronte di un importo massimo liquidabile di Euro 9.88 ha immotivatamente liquidato l’importo di Euro 8,00 benchè la nota spese contenute nella memoria illustrativa in appello d.d. 11.2.2012 fosse pari ad Euro 102, 34 per esborsi, Euro 619,00 per diritti, Euro 735, 00 per onorari ed Euro 169,25 per spese imponibili.

7. Il quarto e il quinto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica.

7.1. Le doglianze sono infondate. Nella specie, non sussiste nè il denunciato vizio di violazione di legge, nè carenza di motivazione, atteso che con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, la CTR ha affermato che secondo i conteggi presentati in giudizio dall’Ufficio, e non contestati dalla società contribuente, gli interessi maturati sulle somme richieste a rimborso ammontavano ad Euro 9.98, pertanto, ha stabilito che: “fatto applicazione del novellato art. 91 c.p.c., la liquidazione delle spese del giudizio di appello non potrà essere superiore al predetto importo di Euro 9.98”.

A tale riguardo, questa Corte ha precisato, con indirizzo costante, che ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato, in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata sulla base del criterio del “disputatum”, ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza, tenendo conto però che, in caso di accoglimento solo in parte della domanda ovvero di parziale accoglimento dell’impugnazione, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione, in base al criterio del “decisum”, salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel qual caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del “disputatum”, ove riconosca la fondatezza dell’intera pretesa (Cass. S.U. n. 19014 del 2007; Cass. n. 536 del 2011; Cass. n. 12227 del 2015).

Deve essere dichiarata l’inamissibilità della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 212 del 2011, art. 13 introduttivo dell’art. 91 c.p.c., comma 4 in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., proposta da parte ricorrente in modo estremamente generico, non essendo in alcun modo specificato sotto quale profilo la norma indicata violerebbe i principi sanciti dalla Carta costituzionale, con la conseguenza che a questa Corte non è consentito apprezzare la fondatezza della questione ed in che modo risulti rilevante ai fini della decisione.

8.Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso va rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 700,00, per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.