La CTU non esonera la parte dall’onere probatorio

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La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze.

Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
( Cassazione civile sez. VI, 15/12/2017, n.30218 )

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1

              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

  • Dott. CRISTIANO Magda                               – Presidente   –
  • Dott. GENOVESE Francesco Antonio             – rel. Consigliere –
  • Dott. BISOGNI   Giacinto                           – Consigliere –
  • Dott. VALITUTTI Antonio                             – Consigliere –
  • Dott. NAZZICONE Loredana                           – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

 

Ordinanza

sul ricorso 18768-2016 proposto da: ORGANIC BRAND S.P.A. – già S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA n. 59, presso lo studio dell’avvocato FAUSTO FIORAVANTI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MANDARINO;

– ricorrente – contro F.lli   S. SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI n. 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE, che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati MASSIMO CARDARELLI, e MARINO MARINELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 724/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/02/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/11/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE.

 

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 724 del 2016 (pubblicata il 22 febbraio 2016), nel procedimento di concorrenza sleale, per una pluralità di profili involgenti l’utilizzo di marchi e il know how della medesima società, proposto da Organic Brand SpA (d’ora in avanti: solo OB) contro la Fratelli S. SpA, ha respinto l’appello proposto dalla prima contro la sentenza del Tribunale di quella stessa città, sezione specializzata in materia di impresa, in quanto – per quello che ancora rileva – con le domande proposte l’attrice non aveva “nemmeno allegato in cosa consist(esse) il Know how da essa prima concesso in uso (…) e dunque i dati necessari per stabilire, eventualmente anche mediante una CTU, se uno o più dei prodotti commercializzati (…) da Saclà siano stati realizzati o possano essere giudicati identici a quelli realizzati o realizzabili proprio con quel Know how”.

Contro tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la OB chiedendo la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha negato l’ammissione della CTU.

Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono state mosse osservazioni adesive della parte resistente.

Il ricorso per cassazione proposto da OB, è inammissibile in quando, da un lato, esso non coglie la ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata (“le domande formulate da OB contro S. (…) poggiano su un impianto evanescente l’individuazione dei cui elementi essenziali è in sostanza affidato dall’attrice ad una o più CTU”) e, da un altro, si pone in contrasto con il consolidato principio di diritto, che in questa sede deve essere riaffermato, secondo cui “il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.” (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 3130 del 2011; Sez. 3, Sentenze nn. 3191 del 2006 e 9060 del 2003; Sez. 2, Sentenza n. 5422 del 2002). All’inammissibilità del ricorso conseguono le spese processuali (che, in considerazione del valore della lite, si liquidano come da dispositivo) e l’affermazione dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

La Corte, Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 40.100,00, di cui 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 1 della Corte di cassazione, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2017

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