Lo ius variandi di cui all’art. 1453 c.c.

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La domanda di risoluzione in sostituzione della domanda di adempimento: lo ius variandi di cui all’art. 1453 c.c.

La Cassazione del 28.5.2015 n. 11037 ha stabilito che la risoluzione del contratto può essere domandata anche quando inizialmente è stato chiesto l’adempimento, in quanto l’art. 1453 cc fissa un principio processuale in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli art. 183, 184, 345 cpc.

Come noto, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, l’art. 1453 c.c. consente di richiedere alla parte che si sia resa adempiente l’adempimento dei propri obblighi o, in alternativa, la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.

Il secondo comma della norma in esame, poi, consente alla parte, in corso di causa, di modificare la domanda originariamente proposta, ma solo qualora il giudizio sia stato inizialmente promosso per l’adempimento e la parte decida successivamente di instare per la risoluzione; viceversa, non può più chiedersi l’adempimento quando sia stata inizialmente domandata a risoluzione del contratto.

La norma dunque, oltre a consentire al contraente in regola, “a sua scelta”, di richiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, consente a colui che ha presentato domanda di adempimento, una volta definitivamente venuto meno l’interesse a ricevere la prestazione, di variare tale domanda in corso di giudizio chiedendo la risoluzione, in deroga al divieto di “mutatio libelli” sancito dagli artt. 183 e 345 c.p.c..

Chiamate a precisare l’esatto contenuto di tale facoltà, recentemente, le SS.UU. della Cassazione hanno affermato: «La parte che, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, cod. civ., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello “ius variandi”, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale» (Cass. Civ., SS.UU., 11 aprile 2014, n. 8510).

Secondo il ragionamento seguito dagli Ermellini, tale conclusione si giustifica in quanto lo ius variandi di cui si discute deve consentire alla parte delusa, a fronte del perdurare dell’inadempimento, di rivedere la propria scelta; d’altra parte, pur avendo un diverso oggetto, la domanda di adempimento e quella di risoluzione mirano entrambe ad evitare il pregiudizio derivante dall’inadempimento della controparte

Ne discende il principio secondo cui lo ius variandi «possa esercitarsi in modo completo affiancando alla domanda di risoluzione, non solo quella di restituzione, ma anche quella di risarcimento dei danni».

Più di recente, la cassazione è tornata sull’argomento con la sentenza del 28.05.2015 n. 11037, occupandosi di un altro aspetto del rapporto tra azione di adempimento ed azione di risoluzione.

Con tale ultima pronuncia la Cassazione, innanzitutto, ha ribadito il principio consolidato secondo cui «La disposizione dell’art. 1453 cod. civ., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli artt. 183, 184, 345 cod. proc. civ., sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi e, quindi, degli inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria (Cass. 4/10/2004 n. 19826; Cass. 24/5/2005 n. 10927; Cass. 10/1/2008 n. 1003; Cass. 6/4/2009 n. 8234; Cass. 20/6/2014 n. 14088)».

Di seguito, la corte respinto la tesi di parte ricorrente, secondo la quale essendo stata mutata la domanda in sede di precisazione delle conclusioni, il Giudice adito avrebbe dovuto dare all’altra parte la possibilità di replica sulla domanda nuova e la possibilità di addurre prove previa rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c.

Secondo la cassazione, infatti, non risulta in alcun modo pregiudicato il diritto alla difesa, in quanto a fronte della nuova domanda la controparte avrebbe potuto e dovuto replicare, chiedendo di svolgere attività difensive, e non limitarsi ad eccepire infondatamente l’inammissibilità della domanda.

In definitiva, secondo la S.C., promossa una azione per l’adempimento del contratto, la parte può in ogni momento, incluso quello della precisazione delle conclusioni, mutare la propria domanda in domanda di risoluzione contrattuale. Unico limite all’esercizio di questo “ius variandi”, viene individuato nella impossibilità di indicare inadempimenti diversi da quelli già dedotti in giudizio. Tale precisazione non è di poco conto in quanto, come noto, non tutti gli inadempimenti giustificano la risoluzione del contratto, ma solo un inadempimento che abbia le caratteristiche della gravità (cfr. Art. 1455 c.c.).

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