Obbligo di restituzione del deposito cauzionale in telefonia

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Il contratto stipulato dalle parti, relativo a servizi di telefonia fissa, consentiva al gestore di richiedere al cliente la prestazione di un deposito cauzionale a garanzia dei pagamenti delle fatture e prevedeva che il deposito sarebbe stato restituito entro 90 giorni dalla data di cessazione, per qualunque causa, del contratto, a seguito del completo pagamento da parte del cliente degli importi dovuti.

Appare allora evidente che, a termini di contratto, i presupposti per la restituzione della cauzione erano rappresentati esclusivamente dalla cessazione del contratto e dal completo pagamento degli importi dovuti in relazione al rapporto per il quale era stata versata la cauzione, secondo il senso letterale delle parole usate e con il canone ermeneutico previsto dall’art. 1364 c.c.

Diversamente opinando, infatti, il contratto avrebbe dovuto dare atto della esistenza degli altri rapporti e finalizzare espressamente la cauzione a garanzia anche dell’adempimento di quelli.

 

 

(Corte appello Roma sez. II, 19/04/2017, n.2582)

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato, la G.N.S. s.r.l. ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la W.T. s.p.a., con la quale aveva stipulato un contratto di servizi di telefonia, assumendo che la predetta, nonostante l’avvenuta disdetta del contratto, si era rifiutata di restituirle la somma versata a titolo di deposito cauzionale, pari ad € 15.000,00, ed ha chiesto la condanna al pagamento della somma indicata, oltre al risarcimento del danno, scaturente da una gestione caratterizzata dalla palese violazione dei parametri di correttezza e buona fede contrattale, quantificandolo in € 100.000,00.

Si è costituita la convenuta, contestando il fondamento della domanda e chiedendone il contestuale rigetto.

Il Tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che la riconsegna del deposito cauzionale fosse subordinata alla cessazione di ogni rapporto tra la cliente e la società erogatrice, con la conseguenza che la disdetta del contratto principale doveva ritenersi irrilevante, poiché l’attrice utilizzava ancora carte e tenuto conto che lo svincolo del deposito era ragionevolmente collegato alla verifica di inesistenza di debiti all’esito della cessazione di tutte le prestazioni connesse.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la società G.N.S., lamentando l’erroneità della pronuncia del primo giudice, il quale, in assenza di elementi di prova, aveva ritenuto che fossero ancora in uso le schede “v/w” ed aveva male interpretato la clausola contrattuale relativa alla cauzione, ritenendo che essa fosse stata corrisposta a garanzia di tutti i servizi in essere tra la W. e la G. e non solo, come era in realtà, a copertura del rischio di insolvenza relativo al contratto di fonia fissa; l’appellante ha inoltre eccepito la nullità della sentenza di primo grado per omessa pronuncia secondo diritto.

Si è costituita la società appellata, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza del 01/07/2016, la causa è stata trattenuta in decisione, concedendosi alle parti termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Con il primo motivo l’appellante si duole della erronea interpretazione, ad opera del primo giudice, dell’art. 11 del contratto denominato “L.I.” e avente ad oggetto il traffico identificato sul numero telefonico (omissis…), assumendo che il deposito cauzionale ivi previsto avrebbe dovuto essere restituito a seguito del recesso comunicato da essa società il 30/11/2005, non essendo previsto da alcuna clausola contrattuale che esso fosse destinato a garantire tutti i servizi in essere, come erroneamente ritenuto dal primo giudice, il quale sulla base di una mera affermazione priva di riscontro della W. aveva ritenuto che vi fossero altre prestazioni da garantire.

Il motivo è fondato. L’art. 11 del contratto stipulato dalle parti, relativo a servizi di telefonia fissa, consentiva alla W. di richiedere al cliente la prestazione di un deposito cauzionale a garanzia dei pagamenti delle fatture e il comma 11.6 prevedeva che il deposito sarebbe stato restituito entro 90 giorni dalla data di cessazione, per qualunque causa, del contratto, a seguito del completo pagamento da parte del cliente degli importi dovuti. Appare allora evidente che, a termini di contratto, i presupposti per la restituzione della cauzione erano rappresentati esclusivamente dalla cessazione del contratto e dal completo pagamento degli importi dovuti in relazione al rapporto per il quale era stata versata la cauzione, non sussistendo alcun’altra pattuizione nelle condizioni contrattuali dalla quale poter desumere che la somma versata fosse destinata a garantire l’adempimento di tutte le prestazioni inerenti anche a rapporti diversi comunque in atto tra le parti; diversamente opinando, infatti, il contratto avrebbe dovuto dare atto della esistenza degli altri rapporti e finalizzare espressamente la cauzione a garanzia anche dell’adempimento di quelli; onde, nel silenzio, l’interpretazione estensiva sostenuta dal primo giudice non può condividersi, perché contrasta con il senso letterale delle parole usate e con il canone ermeneutico previsto dall’art. 1364 c.c., in forza del quale per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare; non essendovi alcuna prova che i contraenti intesero riferirsi anche a rapporti non specificamente menzionati nel contratto, il deposito cauzionale non poteva che collegarsi alle sole prestazioni di telefonia fissa ivi menzionate.

La W. è quindi tenuta a restituire il deposito cauzionale di € 15.000,00, con interessi legali dal 1/3/2006, poiché secondo la previsione contrattuale la somma sarebbe stata esigibile entro 90 giorni dalla cessazione del contratto, avvenuta il 30/11/2005; poiché gli interessi ammontano a € 2.974,60, la somma dovuta per capitale e interessi legali è di € 17.974,60, sulla quale sono dovuti gli ulteriori interessi dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. Il secondo motivo di appello resta assorbito.

Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano, quanto al primo grado, in conformità alle tariffe forensi di cui al D.M. 8 aprile 2004 e alla liquidazione del Tribunale, in complessivi € 5.644,00, di cui € 514,00 per spese vive, e, per questo grado, in complessivi € 5.708,00, di cui € 176,00 per spese vive, € 1.080,00 per la fase di studio, € 877,00 per la fase introduttiva, € 1.755,00 per la fase di trattazione e € 1.820,00 per la fase decisoria, oltre spese generali e accessori di legge, avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, al valore della controversia, compreso tra € 5.200,00 e € 26.000,00 e all’applicazione dei compensi in misura media.

 

P.Q.M.

La Corte di Appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al numero 6839 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2009, così provvede:

in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, condanna W.T. spa alla restituzione, in favore di G.N.S. srl in liquidazione, della somma di € 17.974,60, oltre gli ulteriori interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo;

condanna inoltre W.T. spa al pagamento, in favore di G.N.S. srl in liquidazione, delle spese del doppio grado, liquidate in € 5.644,00 per il primo grado e in € 5.708,00 per questo grado, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2017.

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2017.

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