Vacanza rovinata: vanno risarciti anche i danni morali

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5271 del 2023, ha ribadito che in caso di vacanza rovinata, si ha diritto al risarcimento dei danni morali.

La vicenda riguardava due turisti napoletani che, nell’agosto 2012, avevano acquistato un pacchetto all-inclusive per Cuba, viaggio poi rovinato in quanto, nella realtà, nulla corrispondeva a quanto garantito e venduto.

Non solo il volo era partito con più di tre ore di ritardo ma, giunti all’hotel, la coppia aveva riscontrato la presenza di lenzuola sporche e capelli nel lavandino della propria camera, nonché la presenza di bottiglie nella piscina dell’hotel. Anche il cibo risultava di pessima qualità.

Prove alla mano, i turisti avevano adito il Giudice di Pace per ottenere il risarcimento dei danni. Tale domanda era stata accolta, ma la decisione era stata ribaltata in secondo grado dal Tribunale di Napoli, che aveva ritenuto estinto il diritto della coppia per intervenuta prescrizione. Si è quindi arrivati dinnanzi alla Corte di Cassazione, che ha dato ragione ai turisti e ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali.

La Corte rileva che l’articolo 44 del codice del turismo (Decreto Legislativo n. 79 del 2011) deve essere inteso in modo tale da includere anche i danni non patrimoniali ex art. 2059 del Codice Civile. Anche il termine di prescrizione deve considerarsi di tre anni e non di un anno come indicato dall’art. 45, comma 3, dello stesso decreto per altri tipi di danni.

La decisione della Cassazione non è un fulmine a ciel sereno; piuttosto, si inserisce in una tradizione giurisprudenziale che ha sempre più riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale.

Tale risarcibilità è già sancita dalla legge oltre che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (CGE). In particolare, ai sensi dell’art. 46 del Codice del Turismo, nel caso in cui l’inadempimento delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto non sia di scarsa importanza, “il viaggiatore può chiedere all’organizzatore o al venditore, secondo la responsabilità derivante dalla violazione dei rispettivi obblighi assunti con i rispettivi contratti, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta”.

Nell’argomentazione la Cassazione ha citato una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che pronunciandosi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 5 della Direttiva n. 90/314/CEE, ha affermato che il suddetto articolo “deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in caso di un viaggio tutto compreso”, in quanto nel settore dei viaggi a finalità turistica si segnalano spesso “danni diversi da quelli corporali”.

 

LA MASSIMA SENTENZA N. 5271 DEL 2023

La Corte di Giustizia, già nel 2002 (sentenza 12 marzo 2002, n. 168), pronunciandosi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE, ha affermato che il suddetto articolo “deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso”, mettendo in evidenza che nel settore dei viaggi turistici si segnalano spesso “danni diversi da quelli corporali”, “al di là dell’indennizzo delle sofferenze fisiche” e che “tutti gli ordinamenti giuridici moderni (riconoscono)..un’importanza sempre maggiore alle vacanze”.

Tra i danni alla persona sono compresi quelli di carattere non patrimoniale, di cui all’art. 2059 c.c., come categoria ampia ed unitaria concernente la lesione di interessi inerenti la persona.

 


 


TESTO DELLA SENTENZA N. 5271 DEL 2023

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 20 febbraio 2023 N. 5271

3.1. Il primo motivo – che sostiene la nullità della sentenza impugnata per mancata indicazione nella intestazione di una delle parti ( S.G.) – è infondato in ragione del principio secondo cui “L’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce” (tra le varie Cass. N. 19437/2019). Nella specie, la mancata indicazione del nome del S. nell’intestazione della sentenza deve essere considerata mero errore materiale, posto che nella motivazione e, per ben due volte, nel dispositivo della stessa è fatto riferimento agli “appellati”.

3.2. Il secondo motivo – che lamenta la violazione del D.Lgs. n. 79 del 2011, artt. 47,44 e 45 (in relazione alla affermata prescrizione del diritto azionato, concernente i danni non patrimoniali subiti dalle vittime) – è fondato. Evidentemente, il giudice dell’appello sembra non aver voluto attribuire rilevanza al radicale e consolidato mutamento di prospettiva compiuto dalla giurisprudenza (in circa due decenni) in tema di danno non patrimoniale, individuato come ampia ed onnicomprensiva categoria concernente qualsiasi ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica. In particolare, la lesione dei diritti inviolabili della persona, di cui all’art. 2 Cost., è stata ascritta ai “casi previsti dalla legge”, che, ai sensi dell’art. 2059 c.c., consentono il risarcimento dei danni non patrimoniali. Più precisamente, sia la previsione, nell’art. 2 Cost., della “garanzia” dei diritti inviolabili della persona, sia il senso stesso dell’inviolabilità, proiettata nei rapporti orizzontali, sono stati ritenuti idonei a recepire implicitamente il rinvio di cui all’art. 2059 c.c. Ai diritti inviolabili della persona non può negarsi la tutela civile offerta dal risarcimento dei danni non patrimoniali che assicura una protezione basilare, riconoscibile a tutti e idonea a svolgere una funzione solidaristico-satisfattiva, talora integrata – in presenza di una particolare gravità soggettiva dell’illecito e relativamente alla componente del danno morale – anche da una funzione individual-deterrente (in tal senso cfr. Corte Cost. n. 205 del 2022).

Il citato diritto vivente ha poi conseguito l’avallo della Corte costituzionale che, a fronte della tutela assicurata in via ermeneutica agli “interessi di rango costituzionale inerenti alla persona” (sentenza n. 233 del 2003), ha giudicato come non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. Nella motivazione la Corte ha riconosciuto alle sentenze della Cassazione (e specificamente alle pronunce n. 8828 e n. 8827 del 2003) l’indubbio pregio di aver ricondotto a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, incluso il danno biologico.

Per altro verso, già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto, in tema, la risarcibilità del danno non patrimoniale, individuandone il fondamento “non nella generale previsione dell’art. 2 Cost., ma proprio nella cosiddetta vacanza rovinata (come legislativamente disciplinata)” (Cass. 4 marzo 2010, n. 5189). Anche Cass. 20 marzo 2012, n. 4372, ha cassato una decisione che lo aveva negato, affermando che la risarcibilità di tale danno “e’ prevista dalla legge, oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”. In effetti, la legislazione di settore concernente i “pacchetti turistici”, emanata in attuazione della normativa comunitaria di tutela del consumatore, nell’ambito dell’obiettivo dell’avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri della Comunità Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia CE, ha reso rilevante l’interesse del turista al pieno godimento del viaggio organizzato, come occasione di piacere o riposo, prevedendo il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali (disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata) subiti per effetto dell’inadempimento contrattuale.

La Corte di Giustizia, già nel 2002 (sentenza 12 marzo 2002, n. 168), pronunciandosi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE, ha affermato che il suddetto articolo “deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso”, mettendo in evidenza che nel settore dei viaggi turistici si segnalano spesso “danni diversi da quelli corporali”, “al di là dell’indennizzo delle sofferenze fisiche” e che “tutti gli ordinamenti giuridici moderni (riconoscono)..un’importanza sempre maggiore alle vacanze”.

Alla luce di tale pronuncia, la dottrina e la giurisprudenza di merito, hanno letto le espressioni generiche contenute nel D.Lgs. n. 111 del 1995 (artt. 13 e 14) come comprensive anche del danno non patrimoniale. Poi, in una visione d’insieme, il Codice del turismo (D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79, emanato in attuazione della direttiva 2008/122/CE), applicabile nella specie, prevede espressamente (art. 47) il danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. In particolare, si prevede che, qualora l’inadempimento “non sia di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., il turista può chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta”.

Alla luce di quanto premesso, è manifestamente errata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “il termine danno alla persona deve, evidentemente, essere riferito ai soli danni fisici e non anche a quelli morali sia perché è tale l’accezione tecnica del termine e sia perché, altrimenti, la distinzione non avrebbe senso. In tema di cd. vacanza rovinata, infatti, è chiaro che si verte sempre di danni cd. morali in quanto quelli patrimoniali sono risarcibili a prescindere e già oggetto di normative speciali”.

Al contrario, la disposizione di cui al D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79, art. 44 (Applicabile alla fattispecie in esame e che fissa in tre anni il termine prescrizionale per “il danno derivante alla persona dall’inadempimento o dall’inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico”) deve essere interpretata nel senso che tra i danni alla persona sono compresi quelli di carattere non patrimoniale, di cui all’art. 2059 c.c., come categoria ampia ed unitaria concernente la lesione di interessi inerenti la persona. Sul punto, dunque, la sentenza deve essere cassata ed il giudice del rinvio riesaminerà la vicenda processuale attenendosi all’enunciato principio di diritto.

3.3. Il terzo motivo censura la sentenza per non avere provveduto in ordine alla domanda di danno subito a causa di ritardo aereo. Sostengono i ricorrenti (ed offrono adeguata documentazione a riguardo): che la menzionata domanda era stata specificamente formulata ed accolta in primo grado, con il riconoscimento di apposito risarcimento; che l’appello della società avversaria aveva coinvolto anche questo punto della prima sentenza; che gli stessi ricorrenti avevano puntualmente replicato in tema di ritardo aereo. Ciononostante – sostengono i ricorrenti – il giudice d’appello ha omesso di provvedere in merito a questa autonoma ed indipendente domanda, benché il D.Lgs. n. 79 del 2011, art. 44 richiami espressamente l’art. 2951 c.c.

Anche questo motivo deve essere accolto, siccome la domanda di risarcimento del danno da ritardo aereo si identificava come del tutto autonoma rispetto all’altra e diversamente disciplinata quanto ai termini prescrizionali. Anche sul punto la sentenza – che in ordine a tale domanda non ha affatto provveduto – deve essere cassata ed il giudice del rinvio provvederà in relazione ad essa.

3.4. Il quarto motivo, proposto in subordine rispetto al terzo, resta assorbito dall’accoglimento di quest’ultimo.

4. Pertanto la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie i motivi secondo e terzo, dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata, come in motivazione, e rinvia al Tribunale di Napoli nella persona di diverso magistrato. Il giudice del rinvio provvederà anche in odine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie i motivi secondo e terzo, dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli nella persona di diverso magistrato, anche perché provveda in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2023

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