Ristorante: malfunzionamento servizio telefonico e POS

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Cassazione civile sez. III – 20/06/2022, n. 19818

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                        SEZIONE TERZA CIVILE

              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI   Danilo                           – Presidente   –

Dott. SCARANO   Luigi Alessandro                 – Consigliere –

Dott. RUBINO   Lina                             – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco                             – Consigliere –

Dott. AMBROSI   Irene                       – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31153/2019 R.G. proposto da: DE GUSTIBUS s.a.s di G.C. & C., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marino Innacchero, in ragione della procura speciale in calce al ricorso con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocata Francesca Giansante, sito in Roma, piazza dei Prati degli Strozzi n. 32; – ricorrente – contro VODAFONE ITALIA s.p.a., (Già Vodafone Omnitel), in persona del procuratore speciale, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro e Paola Limatola, in ragione della procura speciale in calce al controricorso, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Po n. 16/b; – controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 3955/2019, pubblicata il 17 luglio 2019, notificata in data 18 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 4 aprile 2022 dalla Consigliera Dott. Irene Ambrosi.

 

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Napoli ha accolto parzialmente l’appello proposto da Vodafone avverso la sentenza del Tribunale di Avellino e, in riforma della sentenza di prime cure che, nel resto, ha confermato, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta da De Gustibus nei confronti di Vodafone, con parziale compensazione delle spese di lite.

Per quanto ancora qui rileva, la Corte di appello, dopo aver accertato la risoluzione del contratto per inadempimento della Vodafone nei confronti della DE Gustibus e confermato sul punto la sentenza di prime cure, ha ritenuto non doversi riconoscere alcun risarcimento alla danneggiata sul presupposto che quest’ultima non aveva fornito “gli elementi che potevano consentire la quantificazione del danno” e non ha riconosciuto gli importi che il primo giudice, in,vece, aveva riconosciuto ex art. 1226 c.c., sia a titolo di danno patrimoniale sia di danno non patrimoniale.

La trattazione del ricorso della De Gustibus, basata su tre motivi, è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente ha depositato memoria.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1226,2043,2056 e 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente lamenta che la Corte di appello ha, da un lato, espressamente riconosciuto come provata “l’esistenza del danno” subito dalla società De Gustibus a causa dei molteplici malfunzionamenti del servizio telefonico fornito da Vodafone e, dall’altro lato, ha rigettato le relative domande risarcitorie (che erano state accolte in primo grado) sul presupposto che la predetta, gerente attività di ristorazione, non avesse fornito “gli elementi che potevano consentire la quantificazione del danno” e che, in difetto di allegazione della prova di tali elementi, non potesse farsi ricorso alla liquidazione equitativa dei danni.

2. Con il secondo motivo “Nullità della sentenza, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e del principio iudex iuxta alligata et probata iudicare debet” contesta, in particolare, che la sentenza della Corte di appello sarebbe affetta da un evidente errore di percezione delle allegazioni e delle oggettive risultanze della prova orale offerte, non tenendone conto alcuno in ordine alla sussistenza e, soprattutto, alla portata dei singoli danni lamentati.

3. Con il terzo motivo denuncia l'”Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″ ed evidenzia che la valutazione delle allegazioni e dei riscontri probatori offerti dalla ricorrente in ordine alla singole poste risarcitorie dedotte in lite, quali fatti decisivi, avrebbe determinato un diverso esito della decisione di appello.

4. Preliminarmente va esaminato il profilo di inammissibilità del ricorso sollevato dalla parte controricorrente ex art. 348 ter c.p.c., comma 4, che non merita accoglimento tenuto conto che per un verso la sentenza di appello non ha dichiarato l’inammissibilità dell’atto di impugnazione e per l’altro, il ricorso per cassazione risulta conforme alle regole imposte dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

4.1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei termini di seguito precisati.

Questa Corte ha già ripetutamente affermato che la valutazione equitativa è subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile non meramente eventuale o ipotetico ma certo (cfr., da ultimo, Cass., 8/7/2014, n. 15478, e già Cass., 19/6/1962, n. 1536), e alla circostanza dell’impossibilità o estrema difficoltà (v. Cass., 24/5/2010, n. 12613, e già, Cass., 6/10/1972, n. 2904) di prova nel suo preciso ammontare, attenendo alla qualificazione e non già all’individuazione del danno (non potendo valere a surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’art. 2697 c.c.: v. Cass., 11/5/2010, n. 11368; Cass., 6/5/2010, n. 10957; Cass., 10/12/2009, n. 25820; e, da ultimo, Cass., 4/11/2014, n. 23425).

Tale valutazione va effettuata con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, e in particolare della rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e dei vari fattori incidenti sulla gravità della lesione.

Va peraltro osservato che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il potere di liquidare il danno in via equitativa conferito al giudice agli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., e il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza la necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno dovendo peraltro intendersi in senso relativo (v. Cass., 24/10/2017, n. 25094).

Il giudice è pertanto tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali, e perché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (v. Cass. 20/5/2015, n. 10293; Cass., 30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047; e già Cass., 4/5/1989, n. 2074; Cass., 13/5/1983, n. 3273), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità (cfr. Sez 6-3, n. 1579 del 2019).

Giova richiamare inoltre in proposito il principio secondo cui il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo. In tali casi, non e’, invero, consentita al giudice del merito una decisione di non liquet, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria (Sez. 3, 12/10/2011 n. 20990).

Ora, nella fattispecie in esame, la Corte di appello ha disatteso i principi su indicati e, senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto, va cassata senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla liquidazione della pretesa risarcitoria, con conseguente condanna di Vodafone Italia al pagamento delle somme, determinate in via equitativa come segue.

Invero, le allegazioni e risultanze probatorie avevano fornito un sufficiente quadro sintomatico della rilevanza e portata dei danni lamentati anche in relazione alla natura dell’attività di ristorazione svolta dalla ditta ricorrente; in particolare, le dichiarazioni rese da testimoni, clienti del locale, avevano confermato il cattivo funzionamento del servizio telefonico nonché del POS durante la vigenza del contratto da cui potersi desumere il rilevante calo di prenotazioni nonché una immagine non efficiente del gestore dell’attività de qua ed era altresì emerso che per il periodo successivo alla intervenuta risoluzione di diritto del contratto, la società inadempiente non aveva interrotto il servizio, continuando ad erogare uno scadente servizio, chiedendo il pagamento di due ulteriori fatture, impedendo, infine, la migrazione della linea telefonica con altro operatore sino alla fine di ottobre 2009 (circostanze tutte elencate nella sentenza impugnata pagg. 6 e 7).

Sulla base di tali risultanze, a titolo di responsabilità contrattuale – per il periodo dall’11 dicembre 2008 fino al 2 luglio 2009, data di risoluzione di diritto del contratto – va liquidato, in via equitativa, l’importo di Euro 5.000,00 per danno patrimoniale per perdita della clientela e in Euro 3.000,00 quello non patrimoniale per lesione dell’immagine del ristorante.

A titolo di responsabilità aquiliana – per non aver interrotto il servizio dopo la risoluzione del contratto, per il periodo dal 2 luglio 2009 sino al 31 ottobre 2009 – va liquidato l’importo di Euro 2.500,00 per perdita della clientela nonché Euro 1.500,00 per danno non patrimoniale.

Non vanno, invece, liquidati i danni pretesi per gli asseriti mancati incassi, essendo plausibile e condivisibile la motivazione resa dalla Corte di appello in proposito, a mente della quale in ordine alle fatture non pagate a cagione del non funzionamento del pos, ha ritenuto che detto malfunzionamento fosse solo “una mera occasione per l’illecito comportamento dei clienti inadempienti” ma non vi fosse prova che avesse causato il protratto mancato pagamento degli importi citati nelle fatture allegate (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata).

Le spese del giudizio vanno liquidate in virtù del principio di soccombenza come da dispositivo.

 

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna VODAFONE ITALIA s.p.a. a pagare a DE GUSTIBUS s.a.s di G.C. & C.,la somma di Euro 12.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione dall’illecito alla pubblicazione della sentenza, oltre interessi legali dalla pubblicazione al saldo.

Condanna VODAFONE ITALIA s.p.a. a rifondere a DE GUSTIBUS s.a.s. di G.C. & C., le spese del giudizio di primo grado che liquida in Euro 2.738,00 per compensi, oltre rimborso spese generali IVA E CPA; nonché le spese del giudizio di secondo grado in complessivi Euro 3.475,00, di cui Euro 3.120,00 per compensi, oltre rimborso spese generali IVA E CPA; e infine le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2022

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